Vetri rotti, auto in fiamme, lancio di oggetti. Polizia e manifestanti, diversi arresti e un solo grido: Rivogliamo il nostro Paese. È stato un lungo weekend quello appena conclusosi nel Regno Unito. Un weekend di scontri e violenze, di intolleranza e tanta, tanta, disinformazione. Di così forti, nella terra di Re Carlo, non se ne vedevano da un po’.
Le proteste nascono lo scorso lunedì, quando un diciassettenne accoltella diverse persone a Southport (vicino Liverpool) e uccide tre bambine. Subito, i gruppi di estrema destra e altrettanti politici diffondono la notizia che si tratti di un migrante arrivato illegalmente nel Paese, un musulmano, che l’attacco sia “anti-bianco” e che lo Stato, i media e la polizia stiano deliberatamente proteggendo l’identità dell’aggressore per scopi sinistri. In realtà, i dettagli sull’assassino sono celati perché la legge, in UK, concede agli individui di età inferiore ai 18 anni protezione per quanto riguarda il loro nome e altre informazioni identificabili. Da questo momento, in diverse città del Regno Unito hanno inizio manifestazioni e atti di vandalismo. Parte la caccia al migrante. Parte la caccia al musulmano.
Mentre scriviamo, almeno un centinaio di persone si trova già in stato di arresto. A nulla, infatti, è valsa la smentita delle forze di polizia – costretta a rivelare le generalità del ragazzo per motivi di sicurezza – secondo cui l’autore delle violenze di Southport è nato in Galles da genitori provenienti dal Ruanda. Nessun migrante irregolare, dunque, ma un figlio legittimo della Union Jack.
Da Londra a Manchester, da Bristol a Liverpool e Belfast, fino a Southport, Sunderland (Newcastle) e Rotherham, bar e supermercati vengono vandalizzati o incendiati, le vetrine distrutte; persino una biblioteca va a fuoco mentre viene impedito ai pompieri di fare il loro ingresso nei locali in fiamme. Bruciano i bidoni della spazzatura, un furgone della polizia, l’odio di chi monta false notizie per propagandare un certo modo di guardare il mondo che divide e ferisce, genera mostri. E i mostri, si sa, fanno orrori e paura, non si fermano mai.
Domenica, a Rotherham, i manifestanti assaltano la struttura di una famosa catena alberghiera perché convinti che accolga richiedenti asilo. Addirittura, tentano di dare fuoco all’hotel: Rivogliamo il nostro Paese, urlano lungo le strade del centro cittadino. Inghilterra fino alla morte!. Anche le moschee, in molte aree del Paese, diventano bersaglio dei riottosi, così la segretaria per gli Affari Interni Yvette Cooper stanzia circa 30 milioni di sterline per garantire sicurezza straordinaria ai luoghi di culto musulmani.
La polizia registra un alto numero di agenti feriti. Conferma, inoltre, che a rivoltare le città britanniche sono militanti di estrema destra e non potrebbe essere altrimenti. Le modalità, d’altra parte, sono sempre le stesse. E, anche, gli obiettivi. Secondo Hope Not Hate, un’organizzazione britannica che si occupa del censimento di questi gruppi nostalgici, in rete ci sono diversi movimenti neofascisti e neonazisti che stanno promuovendo le rivolte. Tra i vari citati, Patriotic Alternative e British Movement, seguiti dagli islamofobi dell’English Defence League e, come spesso succede quando c’è da alzare le mani, esponenti degli hooligans. Sempre Hope Not Hate al New York Times dichiara che questi gruppi hanno facilità di organizzazione soprattutto grazie ai social media, dove riescono a intercettarsi in modo rapido e spesso imprevedibile, talvolta troppo veloce persino per la polizia.
Anche in questo caso, il tamtam online è determinante. Come accennavamo, infatti, subito dopo gli accoltellamenti di Southport, su X un profilo dal nome simile a quello di un’emittente televisiva (Channel 3 Now) individua in Ali Al-Shakati l’assassino, vale a dire un immigrato arrivato in UK su un barcone e considerato già potenzialmente pericoloso. Nelle stesse ore, la polizia tenta la smentita, mentre in città «arrivano centinaia di persone da fuori, intenzionate a causare problemi con la speranza di provocare divisioni nella comunità» (Patrick Hurley, parlamentare laburista). Più di cinquanta poliziotti restano feriti. Mercoledì una scena simile si verifica nei pressi del Parlamento londinese, così come ad Hartlepool, nel nord dell’Inghilterra. Giovedì il tribunale di Liverpool ritiene inevitabile fare il nome di Axel Muganwa Rudakubana per fermare le fake news e, quindi, le violenze.
A guidare le proteste dai loro computer non sono soltanto anonimi profili su X, gruppi Telegram o strani video su TikTok. A metterci la faccia ci sono anche personaggi come Tommy Robinson, fondatore della English Defence League – che più volte chiede perché il nostro governo ha permesso a questo tizio siriano di entrare nel nostro paese e pugnalare bambini innocenti? – ma anche Andrew Tate – già tristemente noto per le sue posizioni estremiste e misogine, in attesa di udienza per le accuse di stupro e tratta di esseri umani – che prontamente registra un video pieno di falsità sulle origini del giovane assassino. Il contenuto riceve 12 milioni di visualizzazioni prima che X lo rimuova. C’è, poi, l’ex attore Laurence Fox, i cui tweet sono ancora in rete e con milioni di “impressioni”: Dobbiamo rimuovere definitivamente l’Islam dalla Gran Bretagna, scrive e come lui tanti altri.
Mark Collett, leader del Patriotic Alternative, addossa la colpa delle violenze a tre diversi fattori: governo, polizia e media. A suo dire, infatti, costituiscono un establishment anti-bianco che cospira in modo tale da lasciare i bianchi britannici senza nessun altro modo per essere ascoltati. Tra chi parla di élite oscure e tentativi di sovvertire l’ordine naturale delle cose, fascisti e cospirazionisti stanno pericolosamente approfittando di una tragedia come l’uccisione di tre bambine per capitalizzare il più possibile, soffiando sul vento del dolore che più facilmente può diventare rabbia e, quindi, odio.
Queste manifestazioni, d’altronde, sono per gli estremisti come delle esibizioni, una sorta di messa in scena che consente loro di riaffermarsi e, ancor di più, di imporsi nel dibattito come unici difensori di una qualche ingiustizia – poco importa se del tutto infondata. Sono loro, dicono, i tutori dell’integrità, i riparatori di un torto pubblicamente subito e di cui per qualche motivo le istituzioni sono complici. Sono loro, e soltanto loro, che possono e devono intervenire per salvare la nazione. Ma sappiamo bene che l’obiettivo è e resta un altro.
Soltanto la scorsa settimana, l’ondata di violenza che si è abbattuta sul Regno Unito ha portato a un aumento di cinque volte delle intimidazioni ai danni dei musulmani, minacciati di stupro e morte. Sono aumentati, inoltre, i crimini di odio, come registrato dal gruppo di monitoraggio Tell Mama. La stessa organizzazione segnala attacchi a ben dieci moschee tra Southport, Liverpool e Hartlepool. A Belfast, cattolici e protestanti hanno sfilato insieme in risposta a una manifestazione anti-razzismo.
E mentre in tutto il Regno Unito si preannunciano altre violenze, il Premier Keir Starmer si è rivolto ai suoi cittadini e, in particolare, a coloro che hanno organizzato le proteste: «Vi garantisco che vi pentirete di aver preso parte a questo disordine, sia direttamente sia tramite coloro che hanno organizzato questa azione online e poi sono scappati di loro spontanea volontà. Questa non è una protesta, è un teppismo organizzato e violento e non ha posto nelle nostre strade o online». L’obiettivo, pare, sarà un approccio punitivo rapido affinché i riottosi lascino il prima possibile le strade britanniche.
A preoccupare, al di là della violenza che in UK non si registrava da anni, con le strade in fiamme e un odio così apertamente dichiarato nella terra che a lungo ha accolto sogni e speranze di tantissimi più e meno giovani da ogni parte del mondo, è la strategia che le destre stanno portando avanti a ogni latitudine, alimentando il fuoco dell’intolleranza attraverso la costruzione di notizie false e la loro immediata diffusione grazie allo strumento social. Il meccanismo, già ampiamente abusato, è lo stesso che ha consentito l’assalto di Capitol Hill, manovrato da Donald Trump direttamente dai propri account, e che la scorsa settimana ha visto la pugile algerina Imane Khelif vittima di una delle più squallide pagine di discriminazione che lo sport e la politica ricordino.
Il gioco è facile: si inventa una notizia (Khelif è un uomo! Khelif è transgender!), la si condivide sui social, se ne perde il controllo. Mentre questa diventa di dominio pubblico, entra nelle case, nei telefoni, nei cervelli di chi l’ha letta ma anche di chi non lo ha fatto e se ne sente parte – convinto a sua volta di un’opinione veicolata – il bersaglio prescelto comincia a subire il colpo, a patire l’attacco, la ferocia della disinformazione che da parola diventa gesto, da verbale diventa fisica. È successo ieri con Imane Khelif e sta succedendo adesso nel Regno Unito. I mandanti sono sempre gli stessi: è l’estrema destra, sono i nazifascisti, i rigurgiti camerateschi che sanno di poter trovare spazio tra vuoto ideologico e potere social, piattaforme private di privati cittadini multimiliardari che finanziano politici, movimenti e rivolte.
È nel caos, d’altronde, che possono muoversi meglio. È dal caos, d’altronde, che viene fuori l’uomo forte, quello chiamato a mettere ordine con violenza e indottrinamento. È il caos, d’altronde, che confonde e annichilisce quando non sa di vita. È difficile, tuttavia, riuscire a orientarsi nella nebbia che ottunde la nostra società. In assenza di leader affidabili, dunque, è a noi tutti che spetta una maggiore vigilanza, un’attenzione alle parole e alle fonti. Il risveglio che metta a dormire i mostri.