Il signore e la signora Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante. Erano le ultime persone al mondo da cui aspettarsi che avessero a che fare con cose strane o misteriose, perché sciocchezze del genere proprio non le approvavano. Il signor Dursley era direttore di una ditta di nome Grunnings, che fabbricava trapani. Era un uomo corpulento, nerboruto, quasi senza collo e con un grosso paio di baffi. La signora Dursley era magra, bionda e con un collo quasi due volte più lungo del normale, il che le tornava assai utile, dato che passava gran parte del tempo ad allungarlo oltre la siepe del giardino per spiare i vicini. I Dursley avevano un figlioletto di nome Dudley e secondo loro non esisteva al mondo un bambino più bello. Possedevano tutto quel che si poteva desiderare, ma avevano anche un segreto, e il loro più grande timore era che qualcuno potesse scoprirlo.
Probabilmente, questo incipit letterario non ha alcun bisogno di essere presentato. I grandi baffi del signor Dursley e il lunghissimo collo della signora Dursley sono intensamente noti alla nostra immaginazione, così come l’imbarazzante codina sul fondoschiena del prepotente Dudley. Per chi non le avesse mai lette, invece, queste sono le prime righe del celebre romanzo Harry Potter e la pietra filosofale, che proprio oggi, 26 giugno 2017, festeggia vent’anni dalla data della sua pubblicazione. Un compleanno importante per la saga nata dalla brillante e tenera fantasia della scrittrice britannica J. K. Rowling, che ancora oggi costituisce un vero e proprio fenomeno culturale in grado di affascinare e coinvolgere intere generazioni di lettori.
Sul come e perché Harry Potter sia diventato un culto di massa, oramai, sono stati spesi fiumi di parole. Quello che, invece, appare più urgente agli occhi di chi scrive, ciò che – in un’occasione così importante – sembra richiedere uno spazio privilegiato, è la richiesta di un ricordo. Proprio come Albus Silente, anche noi abbiamo conservato nel nostro personalissimo pensatoio le sensazioni, le immagini e le emozioni connesse alla lettura di questo primo libro. A quei tempi, prima ancora che si potesse ragionare sulla presunta omosessualità del preside dalla barba argentea, dell’amore segreto di Severus Piton e della relazione tra Ron e Hermione, migliaia e migliaia di ragazzini in tutto il Regno Unito e, negli anni seguenti, nel resto del pianeta, avevano appena iniziato un lungo viaggio letterario ed esistenziale in un mondo magico.
La storia era ai suoi albori, il volume del romanzo superava di poco le duecento pagine e il destinatario di riferimento erano proprio quei bambini che con il giovane mago avrebbero continuato a crescere. Per quanto l’esperienza, in questo caso, non possa fuoriuscire dai margini della soggettività, proveremo a spendere poche parole per ringraziare i nostri maghetti, il professor Raptor, il Cappello parlante e tutti i personaggi di questo romanzo per aver fatto irruzione nelle nostre vite.
Vent’anni fa, anche noi temevamo che il mondo potesse essere ordinario, che nulla, assolutamente nulla, di straordinario potesse accadere nelle nostre vite. Eravamo, magari, rinchiusi in cameretta, con le coperte tirate fino al mento, arrabbiati con zio Vernon e zia Petunia per il trattamento ingiusto destinato al loro unico nipote. Ci preoccupavamo per quel giovane ragazzo che dormiva in un sottoscala e che, solo in una famiglia ostile, doveva sopportare la prepotenza dell’avido e sciocco cugino.
Improvvisamente, però, un fiume di lettere e gufi, uniti alla visita di un dolce e sgrammaticato gigante peloso, aveva consegnato a Harry, e a tutti noi, qualcosa in più della semplice, ordinaria e asfissiante quotidianità: la possibilità di una vita differente, prima ancora che costellata di incantesimi e pozioni. (Capiamoci, nessuno in Italia pare abbia ancora ricevuto la fatidica lettera, ma averla attesa tutti insieme è stata, di certo, un’esperienza meravigliosa.)
In questa fuga collettiva dalla perfetta normalità, tanto osannata dai coniugi Dursley, abbiamo imparato che, forse, quest’ultima non ci interessava poi così tanto, che immaginare un mondo di scope volanti e quadri parlanti – anche se irreale – era davvero più divertente del fermarsi alla fattualità del mondo, dove un bambino – purtroppo – non riesce quasi mai a sopravvivere semplicemente grazie al sacrificio della propria madre.
Probabilmente, rileggendoli adesso, in molti potrebbero trovare scontati e banali i valori con cui la Rowling ha intessuto le sue narrazioni. Quello che sfugge, però, al nutrito esercito degli scettici, è che essere cresciuti con queste storie – per quanto semplici, per quanto non del tutto originali – è stato per noi un prezioso regalo. Una dolce lezione sull’amore, sull’amicizia, sulla lealtà e, perché no, anche sulla magia, intesa come la possibilità di infrangere l’ordine precostituito delle cose, di andare oltre le ovvietà e le norme. Qualcosa, qualsiasi cosa, in fondo, potrebbe ancora accadere.
Vedi, tua madre è morta per salvarti. Ora, se c’è una cosa che Voldemort non riesce a concepire, è l’amore. Non poteva capire che un amore potente come quello di tua madre, lascia il segno: non una cicatrice, non un segno visibile… Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c’è più. È una cosa che ti resta dentro, nella pelle. Raptor, che avendo ceduto l’anima a Voldemort era pieno di odio, di brama e di ambizione, non poteva toccarti per questa ragione. Per lui era un tormento toccare una persona segnata da un marchio di tanta bontà.
Oggi, invece, proprio come Hagrid vent’anni fa, anche noi abbiamo una torta con scritto HAPPEE BIRTHDAE, HARRY. E, allora, buon compleanno, Harry.