Il mare di Riace ha colori diversi. Il mare di Riace profuma di tempo. Il mare di Riace, quando la sua onda batte, sussurra Xenía, accoglienza delle genti tutte. A volte urla questo nome quando uomini e donne, sorridendo, stringono mani straniere e dicono: «È stato il vento».
È stato il vento che forse, in una notte di tempesta di tremila anni fa, fece inabissare una nave, cadere in acqua i tesori che trasportava, che regalò a quel lembo di terra due statue di bronzo. Forse erano tre o forse cinque, secondo una delle ultime tesi più accreditate che vorrebbero i due Guerrieri essere parte di una composizione di statue a raffigurare Eteocle, Polinice, fratricidi per il potere e l’orgoglio, la loro madre a cercare di scongiurarne la morte, Antigone, la sorella disubbidiente per amore, e Tiresia, il cieco indovino.
Forse li accompagnava uno scudo e l’elmo giù, in fondo al mare, a giacere con loro in quella stasi rotta dalle correnti dello Jonio. Eppure solo loro, splendenti nella loro nudità, emersero dalle acque il 16 agosto del 1972, cinquanta anni fa.
Bellezza che lascia Venere e si adorna di bronzo ma che partorisce sempre il mare. Una spiaggia d’estate assolata e chiassosa ammutolisce, allorché il sub romano, Stefano Mariottini, allerta le autorità del ritrovamento, perché comprende che il mito si è riappropriato della sua storia. Che diviene storia di Riace, di Reggio, di Calabria e arte del mondo.
Il loro restauro è magia, coinvolge in una splendida sinergia i migliori esperti calabresi e nazionali comprendendosi, sin da subito, quale inestimabile tesoro il mare abbia restituito. Reggio Calabria, Firenze, Roma, i luoghi della “cura”, dell’esame delle loro fragilità, dello studio di quel bronzo e della mano d’artista che ne forgiò le forme. Scrissero di Fidia, di Mirone, di Alkamenes, oggi un’accreditata ipotesi parla di Pitagora di Reggio, consapevoli tutti che chiunque abbia realizzato queste opere le abbia amate come fossero di carne e sangue. E, mentre le incrostazioni lasciavano il posto alla bellezza, iniziava a serpeggiare quella che poi sarebbe divenuta la diatriba per antonomasia: quale la casa migliore per i Bronzi? Firenze? Reggio Calabria? Il mondo?
Quando venne a sapere delle manovre dei fiorentini per tenersi i Bronzi, intervenne con il suo stile schietto e il suo linguaggio asciutto. Difese l’appartenenza dei Bronzi al Museo di Reggio con una dichiarazione che affossò la cupidigia dei fiorentini: «I Bronzi di Riace devono tornare nella loro casa: il Museo di Reggio. Durante il viaggio di ritorno desidero ospitarli al Quirinale. E poi andrò a Reggio ad inaugurare la Sala che stanno allestendo per esporli». Mantenne la parola, come ha fatto sempre nella sua vita. Venne a Reggio nel 1982 per l’inaugurazione della Sala chiedendo espressamente all’attrice Melina Mercouri, Ministro della Cultura del Governo greco, di affiancarlo per rispetto alla poliedrica cultura ellenica di cui i capolavori erano un’altissima espressione […]. (cfr. ne Bronzi: Quando il Presidente Pertini li volle al Museo di Reggio del Professore Pasquale Amato, Quotidiano Calabria Live)
I Bronzi sono opere delicatissime, la sala che li ospita al Museo Archeologico della Magna Grecia di Reggio Calabria è dotata di particolari controlli di temperatura e umidità. Le statue poggiano su piattaforme antisismiche in marmo bianco di Carrara.
Tutti noi abbiamo ancora nel cuore le parole del Ministro Massimo Bray pronunciate nella notte del 21 dicembre del 2013 quando i Bronzi di Riace da Palazzo Campanella, sede del Consiglio Regionale a Reggio Calabria – luogo in cui era stata allestita una sala per ospitarli –, tornarono a casa loro, al Museo Nazionale della Magna Grecia dopo quattro lunghi anni e un restauro: «Abbiamo fatto molti incontri prima del trasporto – ricorda Bray allora ministro ai Beni culturali – affinché tutto fosse organizzato bene. Dovevamo mettere in sicurezza i Bronzi e spostarli nella notte, lentamente […] Rimettere in piedi i Bronzi, dunque, voleva dire rimettere in piedi questa parte importante del Paese». (cfr ne La lunga notte del trasferimento dei Bronzi di Paola Suraci, ReggioToday)
Dodici ore impiegò la processione di uomini e statue a effettuare quel tragitto di un chilometro e mezzo perché occorreva evitare vibrazioni e ogni sollecitazione alle casse contenenti le due opere d’arte.
Periodicamente la querelle sui “Bronzi itineranti” ritorna a infiammare gli animi e l’orgoglio dei reggini. A fomentarla da alcuni anni il critico e parlamentare Vittorio Sgarbi che vorrebbe i Bronzi ambasciatori d’arte viaggianti nel mondo, sin da quando avanzò con veemenza la detta ipotesi per l’Expo di Milano, a dispetto delle argomentazioni tecniche refertate che ne statuiscono la fragilità, la delicatezza, la necessaria stabile collocazione.
La diatriba ha conosciuto toni polemici in questo scorcio d’estate, durante le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dalla loro scoperta. All’ennesima provocatoria richiesta di Bronzi quali “testimonial viaggianti”, ha fatto seguito la ferma presa di posizione del Comitato Bronzi di Riace e Museo Magna Grecia di Reggio Calabria che ha ribadito le ragioni della sua opposizione a un eventuale trasferimento o prestito suffragando, ovviamente, il ragionamento con riferimenti tecnici e testimonianze scientifiche.
Ricordo che ero ossessionato da una domanda, dopo anni di restauro: quando avrebbero iniziato a respirare? […] Dopo molte ore, nel tardo pomeriggio, accadde il “miracolo”: il guerriero respirò! Dalla sua bocca uscì una nuvola di polvere! Ci guardammo con Paola Donati, restammo senza parole. Fu un’emozione grande che ancora adesso nel raccontarla mi assale. (cfr ne Bronzi di Riace, Schepis: “Quando il guerriero tornò a respirare” di Paola Suraci, ReggioToday). Per quel “respiro” la città si è stretta attorno a loro, chiede da sempre, a gran voce, inascoltata, trasporti e collegamenti adeguati, programmazione turistica all’altezza, lungimiranza politica.
Cinquant’anni dal loro ritrovamento. Belli al di là e al di sopra di ogni polemica, al di là e al di sopra dell’insipienza di una classe politica nazionale e locale che relega la loro culla ai margini di una frustrante agenda economica e sociale. Belli, a evocare, nel tempo delle offese, la memoria che si offre nuda e forte e, forse, sprone di gente che cerca con orgoglio il riscatto per la sua terra.
Contributo a cura di Marina Neri, avvocato e poetessa