Abituati come siamo a fare tutto con i computer, c’è da chiedersi se la nuova generazione, quella del 2000, sappia cosa sia una macchina da scrivere. Per chi, come me, è nato negli anni Novanta, questo oggetto ormai considerato obsoleto si carica di un fascino nostalgico che riporta alla mente diversi ricordi, come quello in cui, a casa della nonna, si sentiva il ticchettio dei tasti che la zia pigiava per redigere lunghi documenti con quello che all’epoca era un validissimo mezzo di scrittura, o, ancora la memoria di un pomeriggio d’autunno quando con un’amica decidemmo di scrivere il compito richiesto dalla maestra usando la macchina da scrivere di colore azzurro della mamma. Ma qual è l’origine di questo arnese ormai considerato un vero e proprio pezzo d’antiquariato?
Il luogo e la data precisa della sua invenzione vengono tutt’oggi ignorati. Sicuramente è nel XIX secolo che le prime macchine da scrivere vennero realizzate, d’altronde il loro prototipo, il tacheografo, ideato dall’italiano Pietro Conti, fu pensato agli inizi dell’Ottocento. Tuttavia, è Giuseppe Rivazzi a essere usualmente considerato l’inventore del rivoluzionario mezzo di scrittura: nel 1846, infatti, questi brevettò un congegno che chiamò Cembalo Scrivano, per la sua somiglianza con lo strumento musicale, e che viene per l’appunto considerato il primo modello di macchina da scrivere. Già in passato, però, alcuni avevano tentato la meccanizzazione della scrittura. Ad esempio, nel 1802 il conte Agostino Fentoni aveva costruito un meccanismo molto simile a quello che sarebbe stato brevettato in seguito. Rivazzi e Fentoni, in particolare, pensarono entrambi alle loro invenzioni con lo scopo di dare l’opportunità ai ciechi di scrivere, richiamando la finalità con cui già nel 1575 il tipografo ed editore Francesco Rampazetto aveva progettato un dispositivo meccanico rudimentale i cui meccanismi ricordavano quelli del più recente strumento.
Ma, se agli italiani viene idealmente assegnato il primato per la realizzazione delle macchine da scrivere, nonostante anche altrove vi siano brevetti registrati, furono gli americani a rendere tali aggeggi un successo mondiale commercializzandoli. Nel 1873, infatti, l’azienda Remington and Sons, che produceva anche armi, mise in commercio il primo modello ad avere successo sul mercato: la Scholes and Glidden (anche conosciuta come Remington No. 1) dal nome di coloro che l’avevano ideata. La Remington No. 1 fu la prima macchina a utilizzare una tastiera QWERTY (dalle prime sei lettere presenti su di essa, ancora oggi impiegata), i cui tasti erano disposti secondo un ordine che agevolasse la scrittura e impedisse agli ingranaggi dell’ingegno d’incepparsi.
Tra i nomi legati alla macchina da scrivere, inoltre, non si può non ricordare quello di Olivetti, che dopo aver trascorso del tempo negli States, nel reparto di ingegneria elettrica dell’Università di Standford, riprogettò da zero il dispositivo, ideando l’Olivetti M1, un vero e proprio lavoro d’artigianato, che venne presentato per la prima volta all’Esposizione Universale di Torino nel 1911.
Da allora, questi strumenti si trasformarono andando sempre più incontro alle necessità di che li utilizzava: divennero più piccoli, si meccanizzarono e poterono essere trasportati. Le redazioni dei giornali si riempirono del ticchettio prodotto dai tasti di quegli ingegni che avevano reso più semplice la compilazione di documenti, tutti gli scrittori ormai se ne servivano per dar vita alle proprie opere. La loro invenzione portò persino alla nascita di una nuova disciplina, la dattilografia, che insegnava a battere efficientemente a macchina utilizzando la diteggiatura in maniera corretta. Tale materia divenne popolare soprattutto tra le donne, contribuendo alla loro emancipazione.
Se oggi le macchine da scrivere non sono altro che pezzi d’antiquariato che fanno vibrare i cuori ai nostalgici di un’epoca ormai andata, non si può negare che la loro invenzione portò al rinnovamento in diversi campi della vita dell’uomo, iniziando una rivoluzione che in qualche modo fa sentire ancora i suoi effetti.