Pochi giorni fa è stata diramata dal Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno una circolare con la quale si dava notizia della consegna, di qui a poco, di circa 900 bodycam ai reparti mobili di polizia e carabinieri. Dal testo di tale comunicazione si legge che si tratta di uno strumento di documentazione degli accadimenti e di tutela del personale operante. Si fa riferimento, dunque, ai cosiddetti eventi di rilievo e/o a rischio e alla necessità della loro documentazione video-fotografica, in particolare durante le fasi critiche.
Nell’approfondire l’utilizzo che dovrebbe farsi di tali dispositivi, già in uso in numerosi Paesi europei e non, sono state però numerose le perplessità emerse. Innanzitutto, l’avvio della relativa registrazione è subordinato a una valutazione discrezionale dell’ufficiale di pubblica sicurezza responsabile del servizio – o del comandante della squadra cui siano assegnate le telecamere se questo non è disponibile – che dovrà considerare l’opportunità della registrazione ogni qualvolta l’evolversi degli scenari faccia intravedere l’insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Un’ampia discrezionalità, dunque, e nessun riferimento, nelle intenzioni del Ministero, alla prevenzione di abusi e comportamenti violenti da parte delle stesse forze dell’ordine. Il termine tutela, infatti, è associato solo al personale, escludendo quindi qualsiasi altra situazione che, invece, sappiamo bene essersi già verificata non raramente e che strumenti come i numeri identificativi aiuterebbero a prevenire e/o colpire ex post.
Da tempo, parte della società civile e di organismi impegnati nel campo dei diritti chiede di dotare le forze dell’ordine di tali codici, così da consentire trasparenza e accountability ai cittadini e proteggere coloro che svolgono correttamente il proprio lavoro. A distanza di più di vent’anni, molti dei responsabili delle violenze e delle violazioni dei diritti umani perpetrate durante il G8 di Genova sono rimasti impuniti proprio perché non riconoscibili. Lo stesso dicasi per eventi più recenti come le torture a danno dei detenuti di Santa Maria Capua Vetere per le quali solo una piccola parte degli esecutori è stata rinviata a giudizio poiché, coperti dal casco, in molti non sono stati identificati.
E se allora il fine è quello della trasparenza e di dimostrare che le forze dell’ordine sono sempre al servizio dei cittadini – come si legge nella nota del Sindacato di Polizia (SIAP) che ha accolto con favore tale novità – ci chiediamo perché non vengano scelti anche strumenti che garantiscano una controllabilità completa in tutte le situazioni che si possono verificare. Le bodycam, non accompagnate da altre dispositivi, si prestano a uso arbitrario, non solo perché arbitraria può essere la scelta del momento in cui avviare la registrazione – che rischia di falsare la rappresentazione reale del verificarsi degli eventi – ma anche perché altrettanto arbitrarie sono l’interruzione e/o la cancellazione dei filmati.
Infatti, nella circolare si legge: La registrazione dovrà essere interrotta quando venga meno la necessità di documentare gli eventi. […] Qualora invece la registrazione sia stata avviata accidentalmente o in assenza del requisito della necessità, l’ufficiale di p.s. dovrà disporne la cancellazione. Anche in questo caso, dunque, un’ampia discrezionalità che rischia – nelle mani delle persone sbagliate – di diventare arbitrio e abuso. Nessun accenno, invece, alla possibilità di sindacare tali scelte discrezionali né alle eventuali conseguenze di un improprio utilizzo dei dispositivi.
A noi sembra che con tale operazione si sia proceduto a un’ulteriore militarizzazione delle forze dell’ordine, già dotate di strumenti come taser e spray al peperoncino – anch’essi da utilizzare discrezionalmente – che non fanno altro che allontanarle da una gestione realmente democratica dell’ordine pubblico. Questa scelta si pone del resto in un più ampio scenario finalizzato a disincentivare, con la violenza e la repressione, forme di manifestazione e di dissenso, utilizzando strumenti come quello delle bodycam, da attivare a proprio piacimento.
Nella circolare diramata si legge inoltre che si tratta di dispositivi utili anche ai fini della comunicazione istituzionale. A noi sembra piuttosto che quella che si vuole rappresentare rischia di essere una realtà falsata dall’utilizzo manipolatorio di tali mezzi, che permetteranno, se non usati correttamente, di raccontare solo una parte della verità. I cittadini intanto dovrebbero sentirsi sicuri e protetti e confidare che si sia giunti a una soluzione: ma è davvero questa la sicurezza che vogliamo per il nostro Paese? Una sicurezza priva di conflittualità e di dissenso in cui mai si finisce per tutelare chi ne ha realmente bisogno?
Vogliamo invece che le risorse economiche siano utilizzate per strumenti che incidano realmente sulla sicurezza dei cittadini e non esclusivamente sulla percezione che si ha della stessa; che prevengano le situazioni di conflitto rimuovendo alla base le loro cause e non reprimendole con la violenza che non è tipica di un Paese democratico. Affinché non siamo più costretti ad apprendere notizie di violazioni dei diritti umani da parte di coloro i quali dovrebbero essere garanti di quegli stessi diritti.