Berlino Blues di Paul Scraton, pubblicato da 8ttoedizioni, può definirsi come il racconto corale e stratificato della Berlino del passato e del presente. I protagonisti vivono o hanno vissuto una parte della loro vita nella capitale tedesca che l’autore ripercorre a partire dalla distruzione e dalle barbarie della Seconda guerra mondiale, trascinando contemporaneamente il lettore in una serie di racconti intimi di volti e anime che incrociano il loro cammino.
Annika, che disegna mappe in cui rappresenta eventi storici e vite di personaggi illustri che hanno vissuto a Berlino, percorrendola da capo a piedi, da nord a sud, scovandone particolari impercettibili in quegli angoli in cui tutto è cambiato e nulla sembra assomigliare a ciò che racconta del passato. Ogni centimetro di terra nella città dove sorgeva il Muro ha qualcosa da mostrarci, come quei fori lasciati dai proiettili su cui Boris passa le mani, cercando di distinguere quelli tedeschi e quelli dell’Armata Rossa. Nulla esisterebbe senza memoria, è quello che tentano di dirci questi personaggi, dall’ex agente segreto della STASI Markus, la cui vita è densa di storia, a Charlotte, che solo dopo la morte del nonno, simbolo per lei di una Germania brutale e nemica, impara ad amare Berlino e a sceglierla come casa. È forse questo ciò che accomuna tutti i protagonisti di queste storie solo apparentemente autonome: hanno scelto Berlino come luogo in cui stare, chi consapevolmente, chi meno, chi dall’infanzia, chi solo in età adulta, tornandoci dopo aver affrontato le proprie paure.
Il narratore esterno – di cui l’autore cela con cura la maggior parte delle informazioni – trascina nell’intimità dei personaggi. Così, riaffiorano alla mente i versi di Pavese: Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
Scraton però va oltre, descrivendo cosa significa avere, o scegliere, un luogo come Berlino, così variegata da sembrare la stratificazione di secoli di storia, di persone così diverse che l’hanno resa quella che è. Un ruolo centrale rivestono quindi la memoria e i ricordi, la nostalgia, la consapevolezza che i luoghi cambiano e con essi la percezione che ne abbiamo e la nostra vita. Centrali sono lo spettro della guerra, il dolore, la morte, le ingiustizie, tutto il sangue versato, ma anche l’impegno politico dei personaggi, coniugato in un modo ogni volta diverso, eppure sempre presente. Nell’arte, nello studio, nel lavoro, ciascuno sceglie come contribuire a costruire il posto in cui stare.
Se vuoi cambiare le cose devi essere in un posto rilevante, così dice uno dei protagonisti e, pensandoci, per tutti loro Berlino lo è, rilevante a tal punto che le vite che sembrano indipendenti si mescolano e con esse i sentimenti che la città suscita: la percezione di non sentirla casa all’inizio, la consapevolezza di averla scrutata, di averla fatta propria e, addirittura, di riuscire poi a raccontarla ad altri. Cosa significa avere un posto in cui stare se non conoscerne gli angoli e condividerne i segreti?
Un’appartenenza non priva di contraddizioni, se si pensa che i protagonisti vedono cambiare le proprie vite, o quelle dei propri parenti di cui ripercorrono le vicende, a seconda degli eventi storici del periodo. Basti pensare a chi è nato in Germania e ha dovuto lasciarla come un delinquente, di notte, solo perché ebreo. A chi ha deciso, anni dopo, di ripercorrere quelle strade di dolore, perché solo conoscendole si riacquista realmente un luogo come proprio. Un sentimento di appartenenza completa, mista a un desiderio di abbandonarvisi totalmente ma anche a quello di lasciarsela alle spalle per sempre.
Tutti hanno bisogno di un luogo a cui sentono di appartenere. Anche tra migliaia, anche se con fatica, anche senza mai smettere di guardarsi le spalle.