Dal 1961 al 1989 il Muro di Berlino impedì alle persone di circolare liberamente in Germania, diventando il simbolo della cortina di ferro che frammentava l’Europa in due zone separate di influenza politica. Una barriera di cemento armato che divise il territorio per circa 155 chilometri. Da una parte Berlino Est, controllata dall’Unione Sovietica, e dall’altra Berlino Ovest, occupata da americani, francesi e inglesi.
Un filo spinato diventato poi un muro impenetrabile con posti di blocco, torrette e la striscia della morte controllata da cecchini. «Il Muro era come una macchina del tempo. Si passava Checkpoint Charlie e si piombava nel passato, negli anni Cinquanta. Meno luci, niente insegne, anche l’aria aveva un altro odore, impastata dalle Trabant, le vetturette in plastico simbolo dell’industria nella DDR», così ha scritto Roberto Giardina, giornalista, che è stato testimone di quegli anni.
Il 9 novembre del 1989 il governo della Germania Est annunciò che sarebbe stato possibile visitare la zona Ovest e da quel momento in poi molti cittadini si arrampicarono sul Muro, lo superarono e, congiunti con i propri cari, festeggiarono l’accaduto. Con il passare dei giorni alcune parti di Muro furono demolite, i frammenti più piccoli divennero souvenir mentre gran parte del resto fu distrutta grazie all’utilizzo di macchinari. Tutto ciò accadde appena 30 anni fa, un anniversario importante che oggi non può essere ignorato o dimenticato, ma che vuole essere celebrato raccontando i fermenti della scena artistica tedesca degli anni Ottanta attraverso la mostra Berlin 1989.
La pittura tedesca del tempo, il Neo Espressionismo, si impose in tutto il mondo. I suoi esponenti furono chiamati i nuovi selvaggi (Neue wilden) perché tornarono a dipingere la figura umana, alle volte rappresentata soltanto in modo inquietante e deforme, un’immagine che si consumò e prese forma grazie al ruvido trattamento pittorico. Si trattò di una pittura ribelle che prese ispirazione dai media, dal rock, dal punk, dai temi politici e artistici, emersa in particolar modo tra gli artisti di Berlino quali Rainer Fetting, Helmut Middendorf e Bernd Zimmer che insieme, intorno al 1977, aprirono uno spazio autogestito: la Galerie am Mortizplatz.
Berlin 1989, dopo Le mille luci di New York organizzata nel 2017 e London Shadow tenutasi nel 2018, va a chiudere gli eventi curati da Luca Beatrice. Lo scopo è quello di dedicare la manifestazione a tutte le città che verso la fine del Novecento portarono un cambiamento nell’ambito storico-artistico, ma anche una rivoluzione del sociale. Berlin 1989 sarà ospitata al Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli fino al 19 gennaio 2020. È possibile visitare la mostra dal martedì al venerdì dalle 10:00 alle 19:00, il sabato e la domenica dalle 10:00 alle 20:00, mentre il giorno di chiusura è lunedì. Il biglietto, dal costo di 5 euro per gli adulti e ridotto di 3 euro, dà accesso anche alle mostre temporanee e alle collezioni permanenti presenti al palazzo. Una manifestazione che permette di immergersi completamente nella Berlino di fine secolo scorso e di conoscere a fondo la sua pittura, dal linguaggio libero e irruente, dalla quale emerge quanto la creatività e il desiderio puntassero verso un completo rinnovamento.