Manca pochissimo all’uscita in sala del film evento, una delle pellicole più attese degli ultimi tempi: Barbie, un nome, una garanzia, con la firma di Greta Gerwig reduce del successo di Piccole Donne e Lady Bird. Adesso è diverso, adesso la posta in gioco è più alta e il desiderio che tutto vada per il verso giusto si fa sentire. Perché Barbie non è solo una bambola. Barbie è storia. Quella di generazioni di bambine di tutto il mondo e anche di tanti bambini, inutile negarlo. Chi, del resto, non ha mai giocato con una Barbie o non l’ha mai anche solo avuta tra le mani? C’è chi risponderà io no e chi mente. Ma qual è la vera storia della fashion doll più iconica e venduta di sempre?
Per cominciare, è necessario fare un passo indietro nel tempo, nella California anni Cinquanta. L’imprenditrice Ruth Handler, mentre guardava la sua figlioletta Barbara giocare in casa, si accorse di una cosa: ai soliti bambolotti, la bimba preferiva animare le sagome delle ragazze ritagliate dai giornali di sua madre. Per le bambine di allora la scelta dei giocattoli era limitata a bambolotti dalle fattezze di neonati poiché la loro unica aspirazione nella vita doveva essere diventare madri e occuparsi della prole. Ma Barbara non animava a caso quelle figurine di carta. Lei giocava a essere loro.
Handler capì che, come sua figlia, a tante bambine non bastavano i bambolotti, ci voleva qualcosa di più, qualcosa che permettesse loro di immedesimarsi, di esprimere se stesse e ogni desiderio represso. Caso volle che Ruth e suo marito Elliot gestissero una delle aziende produttrici di giocattoli più celebri: la Mattel. L’ispirazione le giunse dalla Bild Lilli, una bambola protagonista di un fumetto osé indirizzato al pubblico maschile tedesco per “svagarlo” durante il periodo postbellico. Fu lì che pensò di trasformarla in un buon modello adulto per bambine borghesi.
Assieme all’ingegnere Jack Ryan, il progetto partì e il 9 marzo 1959 giunse sul mercato lei, la prima Barbie. Capelli neri – in seguito la versione bionda poi diventata ufficiale – costume zebrato e labbra rosse. Fu un fiasco totale. L’idea che le bambine giocassero con una donna adulta dal vitino di vespa e i seni a punta non piaceva a nessuno, senza contare che i venditori e imprenditori erano tutti uomini. Ruth decise allora di coinvolgere il Dott. Ernest Dichter, anche detto il manipolatore per gli esiti delle sue incredibili strategie di marketing. Grazie a lui, uomini e donne, padri e madri si convinsero del potenziale di Barbie, facendola passare come esempio di bellezza e cura personale per le bambine che un giorno avrebbero dovuto necessariamente trovare marito.
È per questo che il primo spot pubblicitario della bambola la mostrava in abito da sposa. La stilista Charlotte Johnson si occupò poi di creare abiti in serie ma, poiché non esistevano telai così piccoli, per far sì che la stoffa le stesse bene indosso, le proporzioni di Barbie dovettero cambiare e risultare più simili a un manichino che a una donna reale. Questo provocò nel tempo non poche polemiche, specialmente a causa di alcuni riferimenti al perdere peso all’interno dei vari gadget. D’un tratto, qualcuno pensò che Barbie necessitasse di compagnia. Nacque nel 1961 Ken (dal nome Kenneth, altro figlio degli Handler), il cui primo outfit erano un costume da bagno e un completo elegante.
Barbie non era più neanche una semplice ragazza con un ampio guardaroba. Aveva delle carriere di lavoro. C’era Barbie stilista, assistente di volo, infermiera, ballerina, tennista e addirittura astronauta. Una straordinaria rivoluzione se si pensa che era soltanto la metà degli anni Sessanta. Veniva stimolato un nuovo modo di giocare e le bambine potevano proiettare in Barbie ogni loro ambizione, sognare, comprendere di poter diventare tutto ciò che desideravano, esattamente come i loro fratellini che avevano giocattoli per improvvisarsi pompieri, poliziotti o medici.
Anche i connotati di Barbie cambiarono: lineamenti del viso addolciti e arti e busto snodati. Gli outfit erano decisamente più sportivi e audaci, come le ragazze dell’epoca. Tra tutte, Barbie Malibu è stata senz’altro la più iconica. Abbronzata per la prima volta, con lunghi capelli lisci, camper decorati e ogni cosa andasse di moda fra i giovani degli anni Settanta. Anche Ken cambiò, ottenendo nuovi lineamenti e un corpo più muscoloso. Ma Barbie Malibu aveva un’ulteriore caratteristica che rivoluzionava del tutto il suo stile ed era lo sguardo. Per la prima volta, Barbie abbandonava il classico occhio trasversale per guardare dritto verso lo “spettatore”, manifestando una fortissima emancipazione sessuale. Si evolveva altresì nella moda e nel make-up, attraverso pazzeschi look glamour.
Nel 1980 Judy Shackelford divenne la nuova vicepresidente di Barbie alla Mattel. Tra lotte alla concorrenza e alle imitazioni, come quelle della Hasbro, Judy riuscì a portare la produzione e le vendite della bambola a livelli altissimi e le bambine ne possedevano a decine. Lo slogan era le ragazze possono fare tutto. Nacque inoltre la prima Barbie nera. La Mattel entrò nella lista delle cinquecento maggiori imprese degli USA e quando Jill Barad divenne amministratrice delegata nel 1997, richiamò immediatamente Ruth Handler – costretta anni prima a dimettersi con l’accusa di frode e falso in bilancio –, riconoscendole il merito di fondatrice del marchio.
La star del momento – resta la più venduta di sempre – era Barbie Super Chioma, con lunghissimi capelli ondulati e un tubetto di gel in dotazione. Per la linea da collezione lanciata in quel periodo, destinata anche a un pubblico adulto, Barbie ebbe poi l’ennesimo lifting facciale e il suo tipico sorriso con denti in vista cedette il posto a una bocca chiusa e più carnosa. Stacie e Shelly furono le nuove sorelline dopo Skipper e l’amica in sedia a rotelle, Becky, suscitò svariate polemiche per una società forse non ancora pronta a questo tipo di rappresentazioni in giochi per bambini.
Si vola quindi negli anni Duemila, dove Barbie ha finalmente l’ombelico per indossare i jeans a vita bassa che sono il trend del momento. Tuttavia, un’azienda di nome MGA riuscì a scavalcarla con le Bratz, bambole alla moda dalla testa enorme che in poco tempo rubarono circa il 40% del mercato delle fashion doll. Marchio che, però, fallì nel 2016. L’ultima e più attuale linea di Barbie è quella Fashionistas, dove troviamo ragazze con corpi differenti, di varie etnie e persino sorde o con sindrome di Down.
Andando di pari passo con le mode, Barbie è andata di pari passo anche con le controversie del tempo. Più volte la bambola è stata imputata di veicolare messaggi sbagliati e puntare troppo sul consumismo e sull’apparenza – ancora oggi con una barbie s’intende una ragazza essenzialmente frivola, bella e un po’ sciocca. L’azienda, ad esempio, dovette modificare la versione parlante, che fra le sue frasi aveva la matematica è difficile, poiché accusata di rafforzare lo stereotipo che le materie scientifiche non fossero cose da ragazze. Strafalcioni a parte, è impossibile negare che Barbie sia stata fondamentale nel processo di autoaffermazione di tante bambine, come spiega la stessa Shackelford all’interno dello splendido episodio dedicato alla bambola della docuserie Netflix I giocattoli della nostra infanzia.
Avete capito perché il film Barbie, in sala dal 20 luglio e con protagonista Margot Robbie, è cultura pura? Non sarà un’accurata ricostruzione storica ma racconterà in maniera leggera e bizzarra l’universo di Barbie e i suoi amici, facendola scontrare con il mondo reale, quello degli esseri umani. Tra citazioni ed easter-egg, Gerwig e Warner Bros ci catapulteranno nel mondo della bambola-icona, un marchio da miliardi di dollari. Quella che ha rappresentato il continuo mutamento del costume di epoca in epoca, che ha fatto scalpore, che con le sue 180 carriere diverse ha mostrato alle bambine che esiste una vita al di fuori delle mura domestiche. Che sia rosa o in qualsiasi modo la si desideri.