Mai più un bambino potrà varcare la soglia del carcere: è questo il principio da cui nasce la proposta di legge approvata alla Camera poche settimane fa, a firma del deputato del PD Paolo Siani con l’intento di evitare la permanenza dei bambini – in particolare di quelli tra 0 e 6 anni – negli istituti di pena con le loro madri. Se la proposta passerà anche il vaglio del Senato, risulterà generalmente vietata la custodia cautelare per le donne incinte e le madri con prole di età inferiore ai 6 anni e, nel caso in cui le esigenze cautelari risultino di eccezionale rilevanza, bisognerà ricorrere a case-famiglia protette oppure a ICAM.
Questi ultimi sono istituti a custodia attenuata per detenute madri, in cui le esigenze cosiddette punitive risultano in qualche modo subordinate all’interesse e al benessere fisico e psicologico dei minori. Tuttavia tali strutture sono comunque luoghi assimilabili agli istituti di pena e di gestione dell’amministrazione penitenziaria, per cui la soluzione da prediligere è – anche in base alla proposta di legge – quella delle case-famiglia protette, che consentono anche a chi non ha un alloggio adeguato di scontare una misura alternativa alla detenzione.
Avevamo già avuto modo di occuparci di queste ultime lo scorso anno, quando era stato approvato il finanziamento finalizzato alla loro implementazione ma, da allora, si può dire che nessun passo in avanti è stato fatto poiché nessuna Regione ha utilizzato le risorse assegnatele e le case-famiglia sono rimaste sostanzialmente due, nei territori di Roma e Milano, continuando a prediligere un modello punitivo di esecuzione della pena. Il carcere non è infatti un luogo per nulla adatto all’educazione di un minore poiché si vive una realtà di segregazione ed esclusione sociale e, da un punto di vista fisico, si rischia di incorrere in patologie e indebolimento dei cinque sensi.
Per quanto riguarda invece le condanne definitive, l’articolo 146 del Codice Penale viene modificato nel senso di innalzare a 3 anni l’età dei figli nel caso di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena. A queste ipotesi di incompatibilità assoluta, si aggiungono poi quelle di rinvio facoltativo della pena, per le quali l’età si innalza dai 3 ai 6 anni.
Quella dei bambini in carcere è una triste storia tutta italiana, che racconta di figli che scontano pene per reati mai commessi. Eppure le alternative sono possibili e anche di non difficile attuazione, come ci ha dimostrato la pandemia: in base al Rapporto dell’Associazione Antigone, dopo le vette raggiunte all’inizio degli anni 2000, quando si contavano circa settanta bambini tra le sbarre, nel 2020 si era giunti a una cifra, non meno preoccupante, di cinquanta unità, ridotte – stando ai dati del 31 maggio – fino a diciotto. Dunque, le possibilità esistono, ed esistevano anche prima dell’ultima proposta di legge: ciò che manca è la volontà politica di attuarle, condannando poveri innocenti a una non-infanzia.
Non è infatti la prima volta che vengono introdotte norme finalizzate a tutelare il rapporto tra madri detenute e minori. Se fino al 2001 alle madri era stata lasciata la sola facoltà di portare con sé in carcere bambini fino ai 6 anni, con la Legge Finocchiaro fu introdotta la detenzione domiciliare speciale per le detenute madri. Tuttavia, essa era soggetta a una serie di limiti stringenti e spesso le condizioni abitative non erano considerate adeguate dal giudice. Dunque fu concessa in pochissimi casi, anche perché la legge prevedeva che, non solo non doveva sussistere il pericolo della commissione di ulteriori delitti, ma che dovesse permettere il ripristino della convivenza con i figli all’esterno.
Con la legge numero 62 del 2011, a firma di Enrico Buemi, furono finalmente introdotte le case-famiglia protette, senza però prevedere risorse a loro sostegno. La loro costruzione, infatti, sarebbe dovuta avvenire senza oneri a carico dello Stato e lasciando tutto nelle mani degli enti locali. Tale vincolo è stato finalmente eliminato dalla legge da ultimo approvata dalla Camera, ma non si può cantare vittoria così in fretta. Non solo l’iter legislativo non è concluso, ma vanno necessariamente fatte diverse puntualizzazioni: tale proposta di legge è sicuramente un buon punto di partenza, ma non si può verosimilmente pensare che, dalla sua approvazione, i bambini non entreranno più in carcere. Non si può infatti ignorare che un’attenta analisi normativa ci rivela molteplici possibilità che ciò non avvenga e che la mancanza assoluta di bambini in carcere deve essere piuttosto un principio cui tendere, costruendolo per il futuro.
Ulteriori passi in avanti devono necessariamente consistere in interventi preventivi finalizzati a ridurre al minimo i disagi sociali ed economici, oltre che a tutelare, anche per chi si trovi ristretto, il fondamentale diritto all’affettività. Stando agli ultimi dati diffusi da Antigone, nel 35% degli istituti visitati, non esistono i cosiddetti spazi verdi in cui poter incontrare i figli, o poter svolgere colloqui avendo almeno l’illusione di non essere in carcere per qualche istante. La cura dei legami familiari è un importantissimo elemento di trattamento penitenziario, non solo perché rende la pena umana, ma soprattutto perché proietta il recluso all’esterno, accompagnandolo in quell’oramai rarissimo percorso di risocializzazione stabilito dalla Costituzione.