Si potrà attribuire ai figli il solo cognome materno: questo è quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sua ultima pronuncia che, pur non essendo ancora stata pubblicata, è stata resa nota con un comunicato stampa dalla stessa Corte. La sentenza è frutto di una questione di legittimità costituzionale sollevata per far fronte alla situazione denunciata da due coniugi, che si trovavano nell’impossibilità di attribuire ai figli il solo cognome materno, pur essendo d’accordo.
Come aveva avuto già modo di sottolineare la Consulta nella sentenza 286 del 2016, in Italia non esiste una norma che espressamente stabilisca l’automatismo nell’attribuzione del cognome paterno, tuttavia questo è desumibile da una serie di articoli del Codice Civile e di altre leggi. In quell’occasione la Consulta stabilì che la preclusione per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome pregiudica il diritto all’identità personale del minore e, al contempo, costituisce un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, sollecitando già allora un indifferibile intervento legislativo. Eppure, le proposte di legge si sono succedute, senza mai raggiungere la votazione finale, ignorando anche gli orientamenti provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dagli organismi internazionali. Ricordiamo infatti che, già nel 2014, la CEDU condannò l’Italia stabilendo che l’attribuzione automatica del cognome del padre – con cancellazione altrettanto automatica della genealogia materna – rappresentasse una chiara discriminazione basata sul sesso, in particolare dell’articolo 14 e dell’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani.
Venendo a ciò che è accaduto pochi giorni fa, la Corte ha quindi definito la norma che attribuisce automaticamente al figlio il cognome paterno, anche in caso di disaccordo dei due genitori, discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio. Il cognome è infatti parte integrante dell’identità di un bambino, a cui quindi saranno attribuiti entrambi i cognomi dei genitori, nell’ordine da loro stabilito, mentre fino a ora quello materno era necessariamente posposto rispetto a quello paterno. L’illegittimità deriva dalla contrarietà agli articoli 2 e 3 della Costituzione, ma anche all’articolo 117 della stessa, nella parte in cui l’Italia si impegna, con le proprie leggi, a rispettare l’ordinamento comunitario e internazionale, e in particolare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Ma la novità ancor più rilevante è un’altra: sarà finalmente possibile, se i genitori sono concordi, attribuire il solo cognome materno, senza temere quindi di mettere fine alla discendenza o ad alcuna appartenenza alla storia. Con queste ultime parole intendiamo riferirci alle posizioni assunte dal senatore leghista Simone Pillon già nel momento in cui fu sollevata la questione di legittimità costituzionale che, nonostante ci facciano rabbrividire, vogliamo ricordare: «Il cognome paterno non è da considerare come un retaggio patriarcale ma come il regalo più prezioso che un padre possa fare ai figli. La madre dona il corpo, il padre consegna l’appartenenza a una storia, a una comunità, a una famiglia». Eliminare per legge «il dovere del padre di dare il cognome ai figli» non è «una conquista di civiltà ma un ulteriore passo verso l’oblio della propria tradizione e in definitiva verso la dissoluzione della famiglia».
Di certo non condividiamo un’idea di famiglia patriarcale e per la quale la donna non può fare altro che donare il corpo ai propri figli, e riteniamo che per una struttura sociale e familiare realmente ugualitaria queste conclusioni dovrebbero essere scontate. Eppure non lo sono, e la dimostrazione è il fatto che da anni si discute del tema senza fare passi in avanti perché la volontà politica è praticamente inesistente.
Allora siamo certi che stavolta cambierà qualcosa? Le proposte di legge a uno stato più avanzato – avendo già iniziato l’esame alla Commissione Giustizia – sono sostanzialmente cinque e ripropongono con poche variazioni la proposta di legge mai approvata nel 2014, durante il Governo Renzi. Allora si tentò di stabilire la possibilità di attribuire anche il solo cognome materno ai figli o entrambi i cognomi nell’ordine concordato dai genitori, ma i partiti di centrodestra affossarono il disegno di legge prima ancora che arrivasse al Senato.
Quella che è stata da molti definita una sentenza storica rischia però di essere vanificata se il legislatore non interviene a dirimere tutte le zone d’ombra createsi, a cominciare dall’eventuale trattamento paritario tra più figli, fino ad arrivare alla possibilità di far decadere uno dei cognomi per fare spazio a quelli della generazione successiva, stabilendone quindi con legge le modalità. Fino a ora, coloro che avevano deciso di rivolgersi ai giudici erano riusciti a ottenere solo provvedimenti di concessione del Ministero dell’Interno che accoglievano le loro legittime pretese, tuttavia questo non è abbastanza.
Le forze politiche attualmente in campo non promettono nulla di buono: basti pensare alle parole di Fabio Rampelli, esponente di Fratelli d’Italia, che paventa possibili effetti negativi sulla famiglia. «La lettura manichea che la sinistra fa di questa sentenza conferma ancora una volta l’impostazione distruttiva della famiglia e il desiderio di alimentare la guerra tra uomo e donna, padre e madre».
E invece tale pronuncia può e deve essere proprio il punto da cui partire per renderla realmente rivoluzionaria e per abbandonare un’anacronistica idea di società e famiglia che non è più accettabile e che oramai in moltissimi Paesi è stata eliminata. Ci sentiamo quindi di condividere le parole della femminista Monica Lanfranco: «Il cognome non è solo una scelta tecnica: è una questione di potere, visibilità sociale e autorevolezza, negata alle donne».
Non è un semplice particolare, ma ora tocca al legislatore.