Il nome di Vera Brittain non è, poi, così conosciuto in Italia. È difficile, infatti, che quando la si nomina qualcuno sappia dire chi fosse o cosa abbia fatto, come invece succede se a essere citate sono scrittrici più famose del pantheon inglese come Jane Austen o Emily Brontë. Proprio per tale ragione, è forse opportuno narrare l’esistenza della Brittain, in modo da darle il giusto tributo e sperare in quella celebrità che una donna del suo calibro merita non solo nel proprio paese natio, ma anche in quello in cui le sue ceneri furono sparse alla morte.
Vera nacque a Newcastle-under-Lyme, nella contea inglese dello Staffordshire, il 29 dicembre 1839. Secondogenita di una famiglia benestante, ben presto lasciò la sua terra per trasferirsi prima a Macclesfield, nella contea di Cheshire, e poi a Buxton, nel Derbyshire. A tredici anni, invece, fu mandata a scuola a Kingswood, nel Surray, in un istituto fondato da poco tempo e di cui sua zia era la preside.
Sin da piccola, la Brittain aveva mostrato la sua inclinazione allo studio, alla scrittura e alla ricerca e aveva sperato che la scuola di Santa Monica potesse aiutarla a coltivare queste sue passioni, ma soprattutto prepararla agli esami di ammissione che avrebbe dovuto affrontare per entrare in uno dei college femminili più prestigiosi al mondo, il Somerville di Oxford. Le sue speranze, tuttavia, furono vane: nonostante la mia ambizione di andare all’università – che prese forma non appena scoprii che posti come i college femminili esistevano davvero e mi resi pienamente conto di che cosa rappresentassero – avesse incontrato una comprensione sincera da parte della preside e delle insegnanti, non ricevetti alcuna preparazione per gli esami. Eppure, anche se non aiutata dalle sue insegnanti e non sostenuta dal padre che voleva che come tutte le altre signorine perbene restasse a casa, trovasse un buon partito e si accasasse, la giovane riuscì lo stesso a superare le ardue prove d’ingresso e a diventare una delle alunne del Sormerville College, dove studiò letteratura e conobbe, tra gli amici di suo fratello Edward, il suo primo amore, Roland Leighton, ragazzo sensibile con la passione per la poesia.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, però, l’idillio oxfordiano ebbe fine. Per la futura scrittrice inizialmente il conflitto non significò altro che una distrazione dalla realizzazione delle sue ambizioni: quando scoppiò, la Grande Guerra non entrò nella mia vita come una tragedia di proporzioni straordinarie, ma piuttosto come un’esasperante interruzione dei miei progetti personali. Ben presto, tuttavia, la sua opinione su quanto stava stravolgendo il globo intero mutò, poiché nel 1915 il gioioso giardino dei suoi affetti fu pian piano deflorato: Edward, Roland e altri amici partirono per difendere la patria ma non fecero più ritorno.
Sentendosi inutile a restare tra le mura di Oxford, non facendo altro che passare il suo tempo su delle carte, Vera decise di arruolarsi come infermiera nella V.A.D., volando lì dove c’era più bisogno di donne pronte a sacrificare il loro tempo per curare tutti i soldati feriti e moribondi.
Se inizialmente aveva visto il conflitto come una semplice deviazione dal cammino che aveva deciso di intraprendere, gli anni di disperazione e dolore che furono causati dall’evento lo trasformarono agli occhi della Brittain in un fantasma che la perseguitò per l’intera vita, un avvenimento che la toccò a tal punto che quasi tutti i suoi ideali e i suoi scritti nacquero da quanto aveva vissuto in quel periodo. Il trauma della guerra e la necessità di elaborarlo furono la fonte da cui sgorgò l’idea per il suo libro più famoso, Testament of Youth (1933), un’autobiografia in cui Grande Storia e storia personale trovarono un punto di contatto e tra le cui pagine a essere raccontata fu la perdita di speranza di un’intera generazione.
Sicuramente, anche il suo pacifismo derivò dall’aver vissuto in maniera diretta le tragedie provocate dalla belligeranza. Molti dei suoi scritti, come Letters to Peace Lovers (1939) e Seed of Chaos (Massacre by Bombing) (1944) furono per questo dedicati al tema. Ma Vera non si occupò solo di diffondere il verbo della pace nel modo, infatti, fu anche un’attivista nel campo delle pari opportunità. Per una ragazza cresciuta leggendo Donne e lavoro di Olivia Schreiner era naturale credere che le donne avessero gli stessi diritti degli uomini: […] immaginai per la prima volta, in un’estasi infantile, un mondo in cui le donne non sarebbero mai più state le creature inferiori e insignificanti che erano considerate fino ad allora, a le compagne degli uomini, uguali a loro e da tutti rispettate. Essendo stata una delle prime a laurearsi, quindi, sentì come un vero e proprio dovere permettere a tutte le sue consorelle di sentirsi libere di essere ciò che volevano. Fu più che istintivo, dunque, per lei, battersi affinché le donne potessero votare, uscire da quelle gabbie dorate in cui erano state per secoli relegate.
Per Vera fu difficile superare le ferite a lei inflitte dalle battaglie che avevano infuriato nella sua vita e nella sua mente dal 1915 al 1918, eppure, seppur con fatica, ci riuscì: riuscì a superare la morte dei suoi amici Victor e Geoffrey, riuscì persino a convivere con la morte di Roland e a trovare un nuovo amore. L’unica cosa che non riuscì mai ad accettare davvero fu la perdita di Edward e per questo, prima di morire nel 1970, all’età di 76 anni, chiese che le sue ceneri fossero sparse sulla tomba di quel dolce compagno d’infanzia. La richiesta di Vera fu esaudita: le sue polveri furono gettate su quella lapide che oggi si trova conservata sull’Altopiano di Asiago nel cimitero inglese, dove i due fratelli possono finalmente riposare eternamente insieme dopo anni di separazione.