Houston, we have a problem: la frase pronunciata poco più di cinquant’anni fa dall’astronauta Jack Swigert nel corso della missione Apollo 13 è tornata attuale, in questo tempo di pandemia, relativamente all’informazione. In particolar modo negli ultimi giorni, la questione vaccini va assumendo aspetti preoccupanti per la divulgazione di notizie non sempre trattate con la competenza e il rigore dovuti, ingenerando confusione e smarrimento nell’opinione pubblica.
Italia, abbiamo un problema: certamente non il solo, ma quello dell’informazione e della comunicazione in generale, in questa delicata fase storica, non riguarda esclusivamente una categoria – sebbene in larga parte tristemente vero – ma anche le istituzioni, sia nazionali che locali, influenzate per lo più dagli umori, o peggio, dai condizionamenti politici che ne determinano azioni incomprensibili e talvolta inaccettabili.
Passare da una comunicazione quasi ossessiva a una condizione di riservatezza e silenzio assoluto, da un eccesso di presenzialismo di Giuseppe Conte per ogni DPCM al chi l’ha visto? di Mario Draghi, infatti, non rappresenta il massimo di quel rapporto corretto più volte auspicato tra istituzioni e cittadini, tra i quali invece persiste una frattura difficilmente rimarginabile. E se il silenzio non meraviglia di certo chi conosce l’ambiente di provenienza del Presidente del Consiglio, quel tenersi da parte, il non apparire, il non esporsi pubblicamente sui singoli argomenti che maggiormente scuotono l’opinione pubblica – il contrario di tutto quanto identifica la figura di un politico –, il tempo potrebbe modificare comportamenti e modalità di rapportarsi, così come avvenuto per il suo predecessore passato in pochi mesi da fantasma a figura di notevole popolarità.
Della comunicazione istituzionale locale, invece, in particolare in Campania con il Presidente De Luca, abbiamo già altre volte commentato la singolarità: senza intervento dei giornalisti, priva di domande, soltanto monologhi settimanali dai toni fermi, a volte enfatici, persino minacciosi. Un modus operandi nei confronti del quale l’interesse è calato gradualmente, terminato l’effetto scenico ormai ripetitivo.
Quanto sta accadendo in questi giorni per la sospensione cautelativa della somministrazione del vaccino AstraZeneca e la comprensibile reazione di preoccupazione e smarrimento dell’opinione pubblica alla mercé di decine di virologi o pseudo tali perennemente presenti nei salotti televisivi, titoli a otto colonne su alcuni decessi tutti da verificare ma comunque sbattuti in prima pagina, sta creando un clima di confusione certamente non favorevole in tempi di per sé ricchi di tensione, alimentati anche da quella forma di idiozia collettiva negazionista figlia di una subcultura madre della degenerazione umana, sociale e politica i cui danni incalcolabili sul piano economico stiamo già pagando pesantemente.
Una pessima comunicazione che accomuna istituzioni e stampa tutta che non contribuisce a riportare quella dovuta serenità nelle famiglie già tristemente interessate da una crisi economica dagli esiti sempre più incerti. Il cambiamento epocale dell’informazione istituzionale che quelli della mia generazione ricorderanno passava attraverso le “veline” fornite dagli uffici stampa ai giornalisti oggi è stata sostituita dai tweet, dai video, dai post sui social e sempre più di rado mediante conferenze, in questo periodo limitate sempre più a un numero esiguo di operatori del settore.
L’immagine e la stessa reputazione di una qualsiasi istituzione è rapportata alla sua capacità di gestire la comunicazione attraverso i tanti canali a disposizione, dai rapporti con gli addetti ai lavori all’utilizzo dei social, piattaforme ben organizzate che più di qualche politico, anche con responsabilità di governo, ha utilizzato per accrescere la propria popolarità e il proprio consenso.
L’allarmismo creatosi con il ritiro temporaneo di un vaccino, invece, esigeva una comunicazione più esaustiva da parte del massimo rappresentante del Ministero della Salute, limitatosi a una scarna dichiarazione, o forse anche dello stesso Presidente del Consiglio, oltre che un’informazione maggiormente responsabile da parte dei mass media con particolare riferimento alla televisione pubblica.
I tempi prevedibilmente molto lunghi per la conclusione di questa fase storica non possono continuare a essere gestiti con la superficialità comunicativa e l’irresponsabilità di taluni esponenti della comunità scientifica che per manie di protagonismo tendono a marcare le proprie posizioni personali spesso in contrasto con l’ufficialità alimentando disorientamento e timori infondati. Occorre maggiore responsabilità e rigore per raggiungere l’obiettivo finale di una pandemia che ci auguriamo possa costituire una grande occasione di ripresa economica e sociale che dia opportunità di lavoro, una rinascita come fu nel dopoguerra dove l’unità delle forze politiche e la grande volontà di ripresa degli italiani consentirono di ricostruire il Paese.