Gli asili nido sono un luogo, perlopiù immaginario, in grado di risolvere molti problemi. Sono in pochi ad averne visto un esemplare – dopotutto, ne esistono a sufficienza per ricoprire solo il 26,6% dei posti necessari – e a testimoniare la loro utilità nel combattere epici mostri come la disparità di genere e la povertà. Questi luoghi rappresentano, infatti, una delle politiche sociali più urgenti di cui l’Italia è terribilmente carente.
Gli asili nido hanno un ruolo fondamentale all’interno del complicatissimo tema dell’occupazione femminile, sempre intersecato a quello della povertà. Le donne con figli sono la fetta di lavoratori – o aspiranti tali – più svantaggiata del nostro Paese poiché non esiste una reale assistenza né un’equa distribuzione del lavoro di cura all’interno delle famiglie. Per questo, avere dei figli a carico per le donne molto spesso significa dover abbandonare il lavoro o scegliere soluzioni lavorative non ideali per conciliare impegni professionali e familiari. Le più colpite sono, chiaramente, le persone povere e le donne con i redditi più bassi, che con il proprio salario non possono permettersi di assumere baby-sitter o pagare le rette di asili privati, né dispongono di nonni in pensione a cui affidare i figli durante l’orario di lavoro.
La genitorialità ha senza dubbio un grandissimo impatto sull’occupazione femminile. All’interno della popolazione maschile, gli occupati con figli sono l’84,4%, mentre le donne solo il 56,3%, la cifra europea più bassa. Insieme alla Grecia, l’Italia è il Paese con il divario occupazionale più ampio tra madri e padri, a dimostrazione del fatto che è proprio la maternità il principale motivo della disuguaglianza economica tra uomini e donne. Ulteriore prova si ottiene confrontando il tasso di occupazione di donne con e senza figli, che in Italia va dal 56,3% nel primo caso e 64,2% nel secondo.
Confrontando i dati italiani con quelli degli altri Stati europei, si scopre facilmente che il tasso di occupazione femminile migliora molto dove non c’è carenza di servizi educativi per la prima infanzia. Infatti, la partecipazione delle donne con figli al mondo del lavoro dipende inevitabilmente dalla possibilità di affidare i bambini a servizi come gli asili nido. Nei Paesi con maggiore disponibilità di servizi di questo tipo esiste una minore disparità occupazionale e, di conseguenza, minore disparità salariale e minore disparità di genere.
Dovrebbero essere gli asili nido, quelli pubblici, a risolvere il problema e a garantire assistenza alla genitorialità a tutte quelle madri costrette ad abbandonare il lavoro dopo la nascita dei figli. Eppure, in Italia non ce ne sono a sufficienza. Secondo i dati raccolti dall’Istat relativi all’anno scolastico 2019-2020, gli asili nido disponibili ricoprivano meno del 27% dei posti necessari. L’obiettivo europeo era fissato per il 33% dei bambini residenti, eppure la media nazionale si è spesso rivelata incapace di soddisfare tali standard. Inoltre, è evidente anche la differenza tra regioni del Nord e del Sud Italia. Se nel primo caso, infatti, si raggiunge il 30% e, in alcuni casi, si supera l’obiettivo fissato dall’Unione Europea, nel secondo il tasso di copertura supera appena il 10%. Una disparità di cui non ci sorprendiamo più.
Per anni, costruire nuovi asili nido è stato impossibile. La necessità di costruirne, convertirne e attivarne di nuovi si è costantemente scontrata con la mancanza di fondi, sia per la loro costruzione sia per il mantenimento economico delle spese e del personale. Non è una novità che manchino i soldi per le politiche sociali, eppure pare sia arrivato il momento di chiedersi se siano davvero i fondi il problema, dato che quelli, alla fine, sono arrivati, ma di nuovi asili nido neanche l’ombra.
Proprio come nelle fiabe, a un certo punto compare l’aiutante, la potente figura magica che offre al protagonista un aiuto sovrannaturale, una sorta di deus ex machina, per risolvere i problemi. Con queste promesse sono arrivati i soldi previsti dal PNRR, che ha diretto l’organizzazione dei cospicui fondi europei destinati alla ripresa nazionale in seguito ai danni causati dalla pandemia. Sono 3,7 i miliardi destinati alla costruzione di 410mila metri quadrati di nuove scuole entro il 2026, con l’obiettivo, tra gli altri, di creare circa 264.480 nuovi posti per la fascia di età 0-6 anni. Sembra un’ottima notizia, dov’è il problema?
La Corte dei Conti ha recentemente certificato ingenti ritardi ingiustificati nell’attuazione del piano destinato agli asili nido. Si tratta di un ritardo compreso tra i quattro e i cinque mesi, che mette a rischio i fondi ottenuti i quali, se non utilizzati come previsto, andranno perduti. Entro il 31 marzo 2022 avrebbero dovuto essere selezionati i progetti per lo stanziamento di quei 3,7 miliardi. Invece, sono stati presentati progetti solo per 200 milioni, il 5% di quanto previsto complessivamente. Pare che il problema siano i Comuni, che non riescono a garantire un numero sufficiente di candidature, ma la diffusione di questa incapacità su tutto il territorio nazionale suggerisce altro. Suggerisce che il problema, forse, non sono mai stati i fondi, ma un assente interesse a perseguire politiche sociali finalizzate a diminuire il divario di genere, oltre a una certa mancanza di pragmatismo e organizzazione che dopotutto caratterizza il Paese con una delle peggiori burocrazie del mondo.
La creazione di nuovi asili nido è – o sarebbe stata – un’opportunità non da poco, che non avrebbe annullato il divario di genere – per quello ci vogliono politiche sociali e culturali che non siamo pronti a mettere in campo – ma avrebbe certamente rappresentato un importante passo in avanti per ridurre le differenze economiche e salariali tra uomini e donne, con e senza figli. E, per ora, non sappiamo neanche se riuscirà a trovare effettiva realizzazione. Come sempre, quando si parla di questioni secondarie come la parità di genere, non c’è troppo interesse ad agire, perché non sono queste le priorità dei nostri governi, di quello attuale come dei precedenti. Perché, in fondo, che le donne restino relegate nel loro ruolo di madre, rappresenta una comodità per la società, più che un problema.