Il saggio di Vittorio Lingiardi, Arcipelago N. Variazioni sul narcisismo, edito da Einaudi (2021), è un tassello importante della riflessione sulla complessità psicologica e culturale del narcisismo o, come suggerisce il titolo, dei narcisismi. Si tratta, infatti, di una molteplicità di sfumature che vanno dalla forma più naturale e sana a quella drammaticamente patologica, attraversando una serie di livelli rintracciabili facilmente nella nostra vita quotidiana.
Il narcisismo abita i nostri amori e tutte le relazioni. Può essere fragile o contundente. Finché cerchiamo di rinchiuderlo in una definizione, non lo capiremo. Occorre una bussola psichica per navigare nei mari insidiosi della stima di sé, tra isole che si chiamano Insicurezza, Egocentrismo, Rabbia, Invidia, Vergogna.
Così la citazione in copertina subito centra il focus del problema. Il narcisismo non è un comportamento da relegare a pochi individui eccentrici e vanitosi ma è un determinato comportamento psicosociale, che ci riguarda molto da vicino e che nell’epoca dell’ipertrofia della visibilità ha preso un aspetto, potremmo dire, pandemico.
Un certo atteggiamento narcisistico è stato sdoganato in modo amplificato dai social network. Non esiste una riprovazione sociale alla millesima fotografia in posa postata su Facebook oppure su Instagram, non ci si vergogna a mostrare in modo diffusivo e compulsivo parti del corpo oggettivamente legate alla comunicazione sessuale, non esiste nessuna vergogna a condividere momenti intimi della propria vita privata, come se si fosse star seguite da un nutrito pubblico di fan. Ecco, la vita virtuale ha liberato quella dose tossica di narcisismo che c’è in ognuno di noi, permettendo di nutrire il nostro ego affamato di applausi e di complimenti, anche provenienti da illustri sconosciuti pur di sentirsi apprezzati oltre ogni misura, succubi del desiderio di una perenne drogata giovinezza.
Christopher Lasch, negli anni Settanta parlava di devastante “cultura della psicopatia” e ancora non avevamo attraversato l’illusorio fantasmatico circo massmediatico dei nostri giorni, capace di spostare indietro di cinquanta anni l’evoluzione etica e sociale degli italiani. Il narcisista ha di sé un’idea smisurata, non riesce a vedere gli altri, non entra facilmente in contatto con le proprie vulnerabilità. Non riconosce la sua fragilità. Il Narciso di Ovidio scambia il proprio volto riflesso nell’acqua per un altro, fino a distruggersi. Metafora perfetta del potenziale autodistruttivo e distruttivo del narcisismo patologico, di cui le cronache nere sono piene.
Un livello normale di narcisismo permette di avere la capacità di essere assertivi e di affrontare in modo anticonformista le prove che la vita ci pone. Infatti, il problema è proprio questo: stabilire il livello di tossicità, che rende poi incapaci di una vita relazionale sufficientemente buona, anestetizzati da una fame bulimica di riconoscimenti esteriori e di legami totalizzanti.
L’egocentrismo esasperato toglie lo spazio psicologico e affettivo per ascoltare l’altro, per vivere empaticamente la relazione con il mondo. La ricerca di gratificazione crea una perenne insoddisfazione, fino a provocare una profonda solitudine mista a sensazioni di dolore e di frustrazione. Il narcisista patologico è in fondo un infelice depresso, che non sa chiedere aiuto. Tale dinamica può condurre, nei casi più estremi, a comportamenti aggressivi e violenti, manipolando il prossimo, pur di non abbassare la dose di attenzione da cui si è dipendenti. Infatti si tratta di una vera e propria tossicodipendenza.
Lingiardi distingue i narcisisti “a pelle spessa” da quelli “a pelle sottile”. I primi si caratterizzano per la loro arroganza, per le sfiancanti richieste d’attenzione. I narcisisti del secondo tipo sono silenziosi, si macerano nel senso di inadeguatezza, angosciati dal giudizio altrui, nascondendo fantasie di grandiosità. Entrambi possono sfociare in un drammatico disturbo della personalità.
In ogni narcisista grandioso si nasconde un bambino che si vergogna, scrive Lingiardi, in ogni narcisista depresso e autocritico si annidano le fantasie di un bimbo onnipotente.
L’esibizione e l’autopromozione sui social network enfatizzano questa tendenza egocentrica e narcisa, creando quasi un’epidemia del sintomo attraverso la “cultura del narcisismo”. L’esito peggiore è proprio questo processo di analfabetizzazione affettiva, una progressiva anestesia emotiva che conduce verso l’amplificazione autocentrata dei propri bisogni, fino a un narcisismo maligno e patologico, capace di manipolazione e di violenza. Come si può rieducare al rispetto dell’altro, all’ascolto e all’interdipendenza, alla percezione della profonda interconnessione che esiste tra ogni soggettività e l’ambiente costruito da persone e da creature sensibili e senzienti? Un cammino difficile da affrontare sicuramente.
Le persone narcisiste, spiega Lingiardi, sono dominate da varie fiere (paura, invidia, rabbia, vergogna) e vivono in un clima di costante confronto con gli altri, torturate dalle oscillazioni tra un senso di superiorità e una percezione di inferiorità e di abbandono. La storia familiare, le cure ricevute, le aspettative dei genitori, il conflitto con i fratelli possono aggravare questa tendenza al narcisismo verso derive tossiche, incoraggiando una pericolosa egolatria. La nostra epoca inoltre enfatizza alcune paure tipiche del narcisista, come la paura di invecchiare e di imbruttire e di perdere così gli apprezzamenti degli altri, mentre rinforza la rimozione della vulnerabilità, l’incapacità a mantenere rapporti intimi e duraturi. Chi vede solo il proprio riflesso è incapace di amare. E di Narciso si innamora Eco, mito che fotografa esattamente la simbiosi complementare tra dipendente e controdipendente, in una relazione impossibile di vera e reciproca intimità.
Il narciso è inoltre distruttivo e autodistruttivo, inabile a godere di ogni successo se non in modo temporaneo, perché la ferita narcisistica si basa su una depressione profonda multifattoriale. La richiesta d’amore diventa insaziabile e nella relazione l’altro scompare. È solo la fonte del nutrimento psicoesistenziale, non una persona con bisogni e fragilità. Il narciso patologico esprime un blocco affettivo, vive una vita narcotizzata, basata sul falso riconoscimento di sé nel mondo.
Il culto della bellezza, l’incapacità di amare, la superbia, il disprezzo, la freddezza, la solitudine lo rendono simile a Peter Pan, un eterno fanciullo prigioniero di un sogno irrealizzabile. Come nella fiaba, è un puer seduttore, avventuroso e travolgente ma inaffidabile, perché non vuole crescere e non vuole diventare adulto. Il Piccolo Principe è per Jung una forma archetipica, una figura psichica che può avere sia una valenza positiva (creativa, curiosa e anticonformista) sia una negativa (instabile, pericolosa cinica). Il puer volante per evolversi deve incontrare il Senex, cioè Saturno, altrimenti rimane fiore e mai diventerà frutto. Bisogna integrare gli opposti per crescere.
Grimilde, la matrigna narcisista di Biancaneve, grandiosa, insicura, egocentrica, antisociale, si riempie di rabbia appena si sente minacciata. Figura esemplare che Lingiardi propone come stereotipo al femminile di narcisista. Per non parlare della potenza metaforica della storia di Dorian Gray nata dalla penna di Oscar Wilde. La forza simbolica del dipinto dove l’immagine del personaggio invecchia mentre Dorian aspira all’eterna giovinezza, è la riproposizione drammatica della paura narcisistica della perdita del suo potere da esercitare sugli altri. Prima di iniziare la seconda parte sulla dissertazione clinica del narcisismo, Lingiardi afferma che:
[…] stiamo bene quando riusciamo ad avere una percezione realistica e non idealizzata delle nostre qualità, quando non ci sentiamo minacciati o troppo vulnerabili, abbiamo una relativa fiducia in noi stessi e negli altri di cui accettiamo limiti e difetti anche fisici e siamo capaci di restituire la cura e l’amore che riceviamo, sentendoci e facendo sentire utili e competenti coloro che ci sono accanto.
È questo equilibrio tra l’io e il tu, lavoro impegnativo e costante verso la percezione del noi che ci rende maturi e capaci di gestire quegli elementi narcisistici che ognuno possiede senza cadere in trappole tossiche.