Quale occasione migliore per festeggiare i tre anni del nostro giornale e i venticinque della minimum fax – con la partecipazione di Tiziano Scarpa, Premio Strega 2009 –, per coinvolgere gli Archetipo Ensemble, musicisti che da tempo speravamo di avere ospiti in un nostro evento? È bastata una telefonata al mio amico Gabriele Falcone, con un passato di rigoroso responsabile della risorse umane di un istituto di credito e componente del gruppo musicale, il quale, nel rispetto dei ruoli, mi ha fatto parlare con la portavoce, Maria Ausilia D’Antona, che ha esordito con un ciao e un sì incondizionato. Soprano, pianista, mandolinista e docente di musica, Maria Ausilia e Sergio Trojse sono i fondatori della formazione di ispirazione acustica composta da strumenti della tradizione mediterranea che accompagnano due voci femminili. In un quarto di secolo, hanno tenuto concerti in Italia e all’estero riscuotendo ovunque il gradimento del pubblico e della critica. Ho rivolto alcune domande a Maria Ausilia che ha risposto con lo stesso entusiasmo che traspare in maniera evidente nel corso delle sue esibizioni con la bella e imparagonabile voce che la contraddistingue.
Da circa venticinque anni sulla scena della musica colta e popolare, una ricerca sempre più attenta alle tradizioni delle sonorità e culture mediterranee. Da poco meno di un decennio, invece, la svolta Archetipo. Quali le motivazioni?
«La musica, da sempre, è uno specchio molto fedele dei tempi: racconta storie, evoca atmosfere, ci trasporta in dimensioni diverse da quella in cui viviamo e lo fa fissandosi nella memoria di chi ascolta grazie a questa grande capacità di parlare direttamente all’animo umano. In particolare, la musica etnica diventa memoria storica collettiva, ci racconta da dove veniamo, di quale contesto siamo “figli”. Se poi uniamo il valore aggiunto del dialetto, insostituibile nella descrizione puntuale di situazioni e personaggi, il quadro è completo. Come non venirne attratti? Soprattutto quando ti rendi conto che ciò che questa musica esprime, in qualche modo, fa già parte del tuo bagaglio personale perché il DNA dei popoli del Mediterraneo è un mosaico perfetto e coloratissimo in cui si intrecciano le storie di molte genti. È proprio li che ti accorgi di come, cercando nelle pieghe del tempo e delle note, in realtà finisci con il trovare te stesso!»
Quanto ha inciso l’introduzione nel vostro repertorio delle sonorità e dei testi di autori partenopei che ritengo abbiano richiesto anche un impegno in quanto a strumenti propri della tradizione napoletana?
«Moltissimo. Anche se all’inizio l’esplorazione del repertorio napoletano è stata una scelta quasi scontata visto che suoniamo strumenti fortemente rappresentativi della tradizione partenopea, ci siamo resi immediatamente conto che il materiale relativo a questa antichissima tradizione è vastissimo e in continua evoluzione. Ci si è aperto un mondo popolato di storie appassionate e suggestioni potenti, capaci di farti emozionare oltre ogni previsione. Ovviamente la consapevolezza di avere a che fare con capolavori noti e meno noti universalmente conosciuti ci ha fatto muovere in punta di piedi in ogni arrangiamento, ogni nuova elaborazione, con profondo rispetto per il lavoro dell’autore che abbiamo cercato sempre di esaltare e mai di stravolgere. Oggi, la componente partenopea rappresenta i 2/3 nel nostro repertorio e riusciamo sempre a stupirci e a emozionarci per la bellezza di certe espressioni artistiche come se fosse il primo ascolto».
Dai concerti ai Musei Vaticani a quelli per Alberto II di Monaco, alle dirette radiofoniche per Radio 1 e nei maggiori teatri in tutta Italia e in Europa ma anche in una di quelle caratteristiche mattinate dei Sabato del Maestro liutaio Salvatore Masiello nel cortile antistante la sua bottega in centro storico a Napoli: ovunque si respira aria di musica, arte e passione vera, la vostra partecipazione e il vostro coinvolgimento sono totali, senza distinzione alcuna.
«Non sempre le grandi ribalte sono necessariamente le occasioni di maggior pregio e lo dico senza voler sminuire le bellissime esperienze che ci hanno visto protagonisti. Però, ad esempio, i due concerti che ho davvero molto cari sono legati a due esibizioni decisamente atipiche. La prima nella tendopoli de L’Aquila a un mese dal terribile terremoto che l’ha devastata. Pensammo che forse la musica avrebbe potuto mettere un balsamo sulle profonde ferite che laceravano l’anima di quelle persone e, preso contatto con i responsabili della tendopoli, chiedemmo e ottenemmo di fare un concerto per le persone che vi erano ospitate. Il nostro teatro fu la stazione, le poltrone erano sedie e panche di fortuna, ma il pubblico fu la cosa più preziosa che potesse capitarci: persone che, in quelle due ore di musica, trovarono forza ed energia per affrontare il momento difficile che stavano vivendo e, per questo, vennero a ringraziarci una per una con parole e sguardi che non si possono scordare. La seconda esibizione “atipica” fu il concerto fatto il giorno dell’Epifania per il reparto di oncologia pediatrica del Policlinico Umberto I di Roma: fu lì che capii appieno la forza che la musica può donare. Infine, Mastro Masiello e la sua bellissima realtà sono qualcosa di speciale, dove l’energia prende forma e si trasforma in arte sotto varie forme e non ci si può sottrarre a questo richiamo. Alla fine tutto il mondo è un teatro, forse il più bello».
Da De Andrè a Totò, Eduardo, Salvatore Di Giacomo e Pino Daniele ai ritmi latinoamericani a quelli siciliani. Quali quelli che riescono a emozionarvi maggiormente riuscendo a stabilire una forte sintonia con il pubblico?
«Ogni volta che ci riconosciamo in una storia, in un personaggio, in una situazione, l’emozione prende il sopravvento e diventa un qualcosa che continua a rimbalzare tra noi e il pubblico e viceversa. Questo accade in tutti i repertori ma sinceramente quello partenopeo ha una marcia in più».
Da docente di musica e da leader di un gruppo di musicisti, come vedi il “reclutamento” di talenti mediante trasmissioni televisive che appaiono più come punti di arrivo che di partenza delle nuove leve della canzone italiana, luoghi dove la conoscenza e lo studio non sembrano più essere elementi prioritari per approcciarsi a un mondo che invece richiede impegno, studio, sacrificio e tempo?
«Con grande franchezza sottolineo la banalizzazione nella quale la musica e il potenziale di molti giovani artisti vengono precipitati in un talent. Come giustamente dicevi, ciò che dovrebbe essere il cuore pulsante di una scelta lavorativa (e anche di vita) oggi non ha più un valore assoluto. Bisogna bruciare le tappe, sbaragliare gli avversari, emergere perché ne resterà solo uno, per citare un famoso film. Tutto questo fa a pugni con quello che è il grande messaggio che l’arte porta con sé da sempre: se pratico un’arte qualsiasi, devo prendere il mio tempo per esprimere nel migliore dei modi ciò che ho dentro. Studierò per conoscere e capire me stesso e il mondo che mi circonda e solo quando avrò cominciato a comprendere e a comprendermi avrò trovato il mio canale espressivo, la mia personalità. C’è bisogno di tempo e di riflessione per arrivare a questo e, di sicuro, un programma che ha bisogno di tempi veloci e preordinati non può favorire un processo così intimo. La tecnica da sola non basta: ci vuole anche il cuore. E ci vuole anche tanta umiltà, tanto spirito collaborativo, perché l’arte costruisce ponti, non innalza muri. I grandi artisti pensano sempre di avere da imparare da tutti e non vedono l’altro come un avversario da battere. Non credo che un talent possa essere una buona porta di ingresso per un giovane talentuoso che vuole intraprendere un percorso artistico. Questo senza contare che gli unici a ricevere benefici da programmi simili sono coloro che li producono. Poco importa, infatti, se dopo averti illuso per un anno, quando arriva l’edizione successiva, ti ignorano di punto in bianco e promuovono il nuovo “astro nascente” destinato a finire nel dimenticatoio dopo dodici mesi».
Il vostro gruppo ha accolto con entusiasmo e grande disponibilità il nostro invito a festeggiare i tre anni del giornale e i venticinque della casa editrice minimum fax con la partecipazione del Premio Strega Tiziano Scarpa, ve ne siamo molto grati. Lo farete certamente nel corso della vostra esibizione ma mi farebbe piacere se anticipassi la presentazione degli Archetipo Ensemble e, magari, solo una piccola anticipazione sul primo brano che aprirà la serata. Intanto, ancora grazie, Maria Ausilia.
«È per noi un grande piacere esserci in questa circostanza. Oggi tirare su un giornale che svolga bene la sua funzione di stimolare il dibattito e la riflessione non è assolutamente semplice, ma avete vinto questa sfida. L’Ensemble è composto da Sergio Trojse (chitarra solista) che insieme a me è fondatore del gruppo, da Gabriele Falcone (chitarra e voce), da Marilena Serafini (liuto cantabile), da Alfredo Trojse (basso acustico) e da Mara Recalina (voce e percussioni), oltre a me (voce e mandola). Nella formazione c’è anche Angelo Abbruzzetti (buzouki) che, purtroppo, non potrà essere presente. Oltre alla musica, ci unisce un forte rapporto fatto di affetti e amicizia ultradecennale. Forse è proprio per questo che c’è molto affiatamento tra noi, nonostante si provenga da esperienze musicali e da generazioni diverse. La scelta dei brani ha privilegiato la grande storia di Napoli e la sua preziosa e longeva produzione musicale, alla quale renderemo omaggio. La serata sarà aperta con una dolcissima serenata del 1900 nella quale, se chiudiamo gli occhi, possiamo addirittura sentire quei profumi e quelle atmosfere che Vincenzo Russo e il grande Eduardo Di Capua hanno magistralmente evocato, una canzone per un amore impossibile ma tenero e vitale come un giardino a primavera: Io te vurrià vasà. Un grande grazie a te, Antonio!»
Un ringraziamento da Archetipo Ensemble e un caro saluto. A prestissimo 🙂
Siete ormai entrati a far parte della famiglia di mardeisargassi.
Grazie a voi per le emozioni regalateci