Non sono stati rari, negli ultimi anni, episodi nei quali dichiarazioni, azioni o prese di posizione politiche hanno richiamato, implicitamente o esplicitamente, idee fasciste. Sintomo che, in verità, l’ideologia fascista, fondata su odio ed esclusione, non ha mai abbandonato del tutto l’Italia. Il ritorno di un atteggiamento dittatoriale, però, spaventa una fetta di popolazione che si muove con prudenza sul web e tra i media tradizionali preoccupata delle ennesime esternazioni troppo simili a quelle del Ventennio. Che si tratti di scelte governative, di case editrici vicine al neofascismo, di concerti neonazisti o addirittura di veri e propri partiti dichiaratamente di estrema destra, in Italia è fin troppo facile imbattersi nell’orrore che dovrebbe essere, oltre che scomparso, bandito.
All’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale e con l’istituzione dell’Assemblea Costituente che doveva riassumere i principi della nuova Italia nella Carta Costituzionale, quella di scongiurare la possibilità di un ritorno del fascismo – o di una simile dittatura – era una priorità. D’altronde, la forma poco flessibile che assunse la Costituzione, una volta elaborata, aveva proprio il compito di evitare il rischio di una nuova ricaduta. Ciò che aveva permesso l’ascesa del totalitarismo, infatti, era stata proprio la forma dello Statuto Albertino, abbastanza cedevole da permettere a una legge ordinaria di modificarlo. Eppure, nonostante l’intento dei costituenti e le norme che sono seguite, ancora oggi è possibile non solo assumere posizioni dichiaratamente fasciste, ma anche dare vita a formazioni politiche neofasciste. E alla base di queste contraddizioni ci sono – tra le altre – alcune sentenze della Corte Costituzionale.
L’apologia del fascismo è definita reato dalla Legge Scelba, approvata nel 1952 per attuare la dodicesima disposizione finale della Costituzione. Con questa legge si proibisce, in primo luogo, la ricostruzione del partito fascista, attuata da persone che perseguono finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza qual metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la Democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista. In più, la Legge Scelba definisce reato perseguibile anche l’esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche. Con questa ulteriore definizione, dunque, essa non si limita a impedire la ricostruzione del partito, ma anche la sua apologia, la celebrazione o la semplice difesa dei suoi valori.
Tuttavia, la presenza della norma risulta in contrasto con l’attualità che ci troviamo a vivere e la ragione risiede nelle successive precisazioni a cui la legge fu soggetta. Già poco tempo dopo la sua formulazione, essa fu utilizzata per accusare alcuni reduci del regime imputati di apologia. La loro difesa, però, si basò su una presunta incostituzionalità della legislazione, che contrastava con l’Articolo 21 della Costituzione, quello che garantisce la libertà di espressione. In seguito a questo episodio, la questione fu sottoposta alla Corte Costituzionale che nel 1957 stabilì che la Scelba non violava la Costituzione, chiarendo però che per esserci effettivamente apologia del fascismo non bastasse una difesa elogiativa, ma fosse necessario un atteggiamento diretto alla ricostruzione del partito. Simile fu, poi, la successiva sentenza del 1958 che precisò che le manifestazioni fasciste erano vietate solo nel caso in cui fossero mirate alla ricomposizione della formazione politica.
A partire dal 1993, invece, la Legge Mancino stabilisce aggravanti per reati commessi con finalità razziste e impedisce di esibire bandiere o simboli di organizzazioni violente. Ma anche in questa circostanza la legge ha incontrato spesso il contrasto con l’Articolo 21 e in caso di denuncia resta la giurisprudenza a decidere analizzando ogni singola situazione. È per queste ragioni che in Italia sono nati partiti politici palesemente neofascisti che non vengono definiti incostituzionali.
Come per molte altre questioni, l’irraggiungibile equilibrio tra libertà d’espressione e parole d’odio impedisce l’effettiva valenza delle leggi che difendono la democrazia e aborrano i dispotismi. Eppure, anche se sta ai giudici disporre caso per caso, sembra sia davvero difficile stabilire quando un’organizzazione o una manifestazione puntino effettivamente a una ricostruzione del partito fascista al punto che di formazioni politiche ispirate a quella che fu l’opera di Mussolini ne sono esistiti parecchi, dal Movimento Sociale Italiano al più moderno simbolo della tartaruga, senza dimenticare le gravi esternazioni nostalgiche di molti esponenti della scena governativa attuale e non contemporanea.
E allora, forse, una drastica e proibitiva defascistizzazione dell’Italia che, secondo alcuni scalfisce le libertà d’espressione o di manifestare, avrebbe impedito la persistenza di un’ideologia che permane nelle vite e nelle idee degli italiani, che striscia silenziosa tra di noi e che, più spesso di qualche volta, si fa più rumorosa e più concreta e fa tremare chi la libertà ce l’ha a cuore.