Non ce ne rendiamo troppo conto, forse perché destinate ai fragili o forse perché troppo scarsamente utilizzate, eppure abbiamo fatto di più di sviluppare i vaccini per contrastare la pandemia, producendo delle potenziali cure per il Covid-19, i tanto discussi farmaci antivirali e anticorpi monoclonali.
Da quando la pandemia ha prepotentemente monopolizzato le nostre vite, la scienza medica si è attivata nella ricerca di un siero vaccinale come in quella di una cura, con l’obiettivo di rendere il più innocuo possibile il virus e di abbassarne letalità e contagiosità. Molto velocemente, però, l’attenzione mediatica si è soffermata principalmente sui vaccini, che hanno senza dubbio svolto un ruolo fondamentale nella lotta alla pandemia, alleggerendo il peso sul sistema sanitario attraverso il contenimento dei contagi e dei casi gravi. Tuttavia, sono disponibili anche farmaci per la cura dei contagiati da Covid-19, promossi dalle autorità, raccomandati dall’OMS e acquistati in ingenti quantità dallo Stato italiano, dei quali però si sente parlare troppo poco.
Si tratta dei farmaci antivirali e degli anticorpi monoclonali, pensati per la cura domiciliare dei soggetti a rischio, quelli cioè che, a causa di condizioni di fragilità pregresse, possono sviluppare forme più gravi e debilitanti della malattia. Pare, inoltre, che si siano rivelati fondamentali anche per i non vaccinati, che hanno spesso evitato conseguenze gravi proprio grazie a essi. La loro efficacia è sostenuta dal Presidente dell’ICAR, Maurizio Zazzi, secondo il quale i progressi scientifici e la sempre maggiore conoscenza del virus permettono di selezionare con accuratezza gli anticorpi monoclonali da somministrare, ottenendo dunque risultati sempre migliori nella lotta al Covid.
Antivirali e monoclonali sono farmaci differenti, adoperati in base a diverse condizioni del paziente, alcuni dei quali devono necessariamente essere somministrati in ospedale. Sono, però, considerati comunque cure domiciliari perché, indipendentemente dal luogo della somministrazione, la convalescenza può essere trascorsa in casa – ovviamente isolati – evitando in questo modo le conseguenze più dannose sui soggetti deboli senza la necessità di un ricovero e alleggerendo, dunque, il peso sugli ospedali.
Fin qui tutto bene. Esistono i vaccini, esistono le cure per i fragili e per chi non si è vaccinato, l’Italia ne ha acquistate centinaia di migliaia di dosi, potenzialmente fruibili per tutti i soggetti a rischio, insomma possiamo stare tranquilli. Ma in realtà non possiamo, perché l’ampia disponibilità di questi farmaci è inversamente proporzionale al loro impiego. Sono infatti pochissime le dosi effettivamente somministrate, pochissime migliaia a confronto con le centinaia di migliaia di nuovi positivi che si registrano ogni giorno. Con buona pace dei malpensanti, però, non è lo scetticismo o il rifiuto dei pazienti il motivo di tale scarso impiego, quanto invece un connubio perfettamente amalgamato di farraginosa burocrazia e irresponsabilità istituzionale.
Antivirali e monoclonali vanno somministrati in ospedale e hanno una buona efficacia solo se assunti entro cinque giorni dall’inizio della positività. La burocrazia che circonda l’identificazione del paziente, la valutazione del medico di famiglia e l’eventuale invio all’infettivologo, però, è molto più macchinosa e lunga del tempo richiesto per l’efficacia dei farmaci, motivo per cui spesso non si fa in tempo a somministrarli. Dall’inizio della loro disponibilità, infatti, di dosi di antivirali e anticorpi monoclonali sono state somministrate solo 20mila unità in tutta Italia – su una popolazione di 60 milioni di persone e con un alta percentuale di anziani e soggetti fragili.
All’inaccettabile spreco, nonché alla mancata opportunità di curare pazienti per cui la probabilità di mortalità è molto più alta, si è tentato di porre rimedio con scarsissimo successo. Proprio per facilitare la somministrazione ed evitare le lungaggini burocratiche che intercorrono tra il riconoscimento della positività da parte del medico di base, il contatto con l’ospedale e l’effettiva somministrazione, è partito il provvedimento dello scorso 21 aprile. Da allora, i medici di famiglia sono stati autorizzati a prescrivere una categoria di antivirali, il Paxlovid, che si presenta sotto forma di compressa e dunque non deve essere necessariamente assunto in ospedale, con l’obiettivo di rendere più facile e funzionale la somministrazione di questi farmaci. Ma anche questo non è bastato.
Un report MMWR del Centro di Controllo e Prevenzione delle malattie americano riporta un bassissimo tasso di ricoveri dei soggetti trattati con Paxlovid. Anche il Ministero della Salute italiano pare sostenerne l’efficacia, tanto da averne acquistate 600mila dosi. Eppure, a un mese dall’approvazione del provvedimento, sono state prescritte poco più di 2100 unità. Intanto, i contagi aumentano esponenzialmente e l’ondata estiva non accenna a mostrare la propria fine. Anche l’età media dei contagiati aumenta e dunque aumentano le persone che hanno potenzialmente bisogno di questi farmaci. Il motivo per cui non sono stati prescritti finora, però, non promette bene sulle possibilità future.
Alla base di queste disfunzioni del sistema si annida un’inefficienza delle istituzioni, che hanno autorizzato i medici di base alla prescrizione di farmaci sui quali non sono stati formati. Sono considerati salvavita, e i dati parrebbero confermarlo, ma anche sostanze da maneggiare con cura con una grande varietà di effetti collaterali. Eppure, non sono state fornite linee guida riguardo quali siano le condizioni per cui siano meglio gli antivirali e quali siano invece i pazienti più adatti alle cure dei monoclonali. Né è stata prevista una formazione da parte del Ministero della Salute per i medici deputati alla loro prescrizione.
La pratica medica ha, come fondamento della propria efficienza, la continua e costante formazione. Nel corso di questi due anni di pandemia, invece, il personale sanitario si è visto addossare la responsabilità delle cure senza un’adeguata formazione o protezione. Ricordate quando i medici degli ospedali dovevano curare i pazienti senza dispositivi di protezione, utilizzando le stesse mascherine per giorni e giorni? Ricordate quando erano i medici in tv a convincere gli italiani sulle adeguate misure di sicurezza, in assenza di un’adeguata comunicazione istituzionale? Ecco, adesso tocca ai medici di base la responsabilità di prescrivere farmaci pensati per essere prescritti invece dagli infettivologi e per i quali non hanno i giusti strumenti di valutazione.
Questa è solo una piccola parte, un piccolo emerso di un enorme sommerso di errori di valutazione istituzionali nella gestione della pandemia da Covid-19, che a tre anni dallo scoppio dell’emergenza sanitaria ancora cedono le proprie responsabilità ai cittadini, aspettandosi che risolvano il problema da soli. Intanto, però, l’ondata estiva inizia seriamente a preoccupare e i numeri riguardo i nuovi casi non sono meno rassicuranti.
Vero che con vaccini e misure di sicurezza i casi gravi sono molti meno, in percentuale, rispetto a prima. Ma è anche vero che più aumentano i contagi, più aumentano anche i casi gravi e fatali. In questo periodo siamo intorno ai 100mila nuovi positivi al giorno. L’economia è ripartita, al cinema si va senza mascherina e anche al bar a prendere il caffè, ma dei casi non si parla più, ignari del fatto che a tutta la nuova leggerezza corrispondono – e corrisponderanno – gravi conseguenze.
Tutti i provvedimenti presi nell’ultimo anno hanno a che fare solo ed esclusivamente con la ripresa economica. Le decisioni sanitarie, invece, sono lasciate sempre più di frequente ai singoli individui, ai cittadini comuni nella loro quotidianità e ai singoli medici che devono prendere decisioni in assenza delle dovute indicazioni da parte delle istituzioni. Sarebbe bastato istituire dei corsi di aggiornamento su questi farmaci, investire un po’ di denaro sulla formazione dei medici, per rendere il provvedimento realmente efficace e permetterne la prescrizione in sicurezza. Invece, si è preferito lasciare alle valutazioni personali la responsabilità delle scelte, ricordando ai cittadini che per l’economia c’è sempre un po’ di denaro da investire, ma sulla salute, se si può risparmiare, perché non farlo?