Forti di un patriottismo che ci contrassegna ogni due anni – in occasione degli Europei o dei Mondiali di calcio –, il coronavirus ci ha costretti a restare a lungo nelle nostre case e, chi più e chi meno, a riflettere su come nella migliore delle ipotesi nel giro di alcuni giorni i nostri ritmi di vita si siano improvvisamente modificati.
Diciamo nella migliore delle ipotesi perché in tanti, in queste settimane, stanno vedendo scomparire una persona cara, dunque chi scrive non può che avere un quadro della situazione molto fortunato, dovendo al massimo adeguarsi a seguire le lezioni telematicamente e a rispettare la fila all’ingresso del supermercato. Al termine patriottismo, invece, generalmente preferiamo la locuzione senso dello Stato, dal momento che il primo si è visto – anch’esso – fin troppo strumentalizzato e anche perché riflettere di tanto in tanto sull’idea di Stato può aiutarci a farci sentire parte di una comunità: d’altronde, siamo in grado di dividerci anche sul concetto di patria stessa e questo poiché, spesso, si ha la sensazione che non siano poi molte le cose che ci accomunano. Stavolta, invece, siamo costretti a ritrovarci, metaforicamente, tutti sotto lo stesso tetto, pur non volendolo, ciascuno preoccupato per qualcosa o per qualcuno o, banalmente, solo per se stesso. Sarà questo, forse, che ci ha portato a ritrovare quel senso di umanità collettivo di cui parliamo da tempo e che abbiamo inserito anche all’interno del dibattito politico.
Sul nostro giornale abbiamo provato più volte, grazie a quelle penne un po’ più sensibili, a esprimere ciò che riteniamo essere il nostro senso di umanità quando, ad esempio, ci siamo indignati per il rinnovo degli accordi tra l’Italia e la Libia o quando abbiamo provato a raccontare la Siria, scrivendo a un amico lontano o sentendoci assassini. Ma anche quando, molto semplicemente, abbiamo pensato che una piazza piena di giovani vogliosi o una sentenza che rende giustizia potessero costituire un segnale di speranza. E lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo perché – mi hanno spiegato appena entrato in redazione – ci sono dei principi su cui non intendiamo transigere, in particolare quello per cui siamo tutti uguali.
Nulla prima di adesso, però, ci aveva messo in modo così netto di fronte a una simile realtà. Il virus, infatti, ci sta dimostrando che non esistono distinzioni umane quando si tratta di salute e di vita. Il Segretario del PD Nicola Zingaretti, il Viceministro alla Sanità Pierpaolo Sileri, il Viceministro dell’Istruzione Anna Ascani, il giornalista Nicola Porro, il Principe Alberto di Monaco e, ancora, i calciatori Daniele Rugani o Manolo Gabbiadini sono solo alcuni dei personaggi noti che sono stati colpiti dal COVID-19. Tutte persone che abbiamo criticato o lodato per un’azione politica, per il modo di fare informazione o per come hanno marcato o smarcato l’avversario. Tutte figure che esercitano un’influenza, ognuna a suo modo, sulla nostra vita, sul nostro lavoro o sulle nostre domeniche. In ogni caso, tutti personaggi appartenenti a categorie che consideriamo lontane e irraggiungibili per le responsabilità che hanno o per le cifre che percepiscono, al punto che è sembrato quasi più sorprendente leggere di un politico infettato anziché vedere i numeri inquietanti che testimoniano l’impatto del virus.
Ecco che, allora, è emerso il nostro senso di umanità quando abbiamo compreso che la situazione fosse più grave di quello che credevamo e che fosse giusto unirci restando divisi, apprezzando Ciccio Caputo – bomber del Sassuolo – che nell’ultima partita di campionato ha esultato mostrando un foglio con scritto Andrà tutto bene. Restate a casa, o sentendoci protetti da quell’uomo così pacato e riflessivo quale è il nostro Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che con una nota ufficiale ha criticato la mancanza di aiuto dell’UE in questa fase. Ma anche, perché no, plaudendo alle soluzioni graduali e alle parole rassicuranti del Presidente del Consiglio – di colpo, diventato idolo del web –, le cui incongruenze abbiamo sempre sottolineato ma che sta adottando ricette ragionevoli, da più parti condivise.
Impossibile, quindi, non pensare a cosa sarebbe successo se ora a Palazzo Chigi ci fossero stati Matteo Salvini – che prima diceva di aprire e poi di chiudere tutto – o Matteo Renzi, che suggerisce ai Paesi stranieri di non commettere gli stessi errori dell’Italia, Paesi che tuttora non stanno ammettendo in toto la pericolosità del coronavirus. Ecco che, allora, la risposta migliore ci arriva ancora una volta dai balconi: dopo essersi recentemente rivelati un ottimo antidoto alle passerelle di qualcuno, adesso sono tornati protagonisti della rete grazie ai tantissimi che si affacciano per cantare, suonare, divertire e intrattenersi a vicenda, confermando l’idea di un Paese che – quando vuole – ha umanità da regalare e regalarsi.
Basti pensare, ad esempio, a Giuliano Sangiorgi, frontman dei Negramaro, che qualche giorno fa dal terrazzo di casa ha messo a disposizione la sua voce e le sue melodie intonando brani del proprio repertorio mentre dalle finestre vicine la gente si sporgeva per ascoltarlo. Come lui, tantissimi artisti che in Italia – e ora anche nel mondo – stanno regalando momenti di musica e distensione a milioni di persone angosciate all’idea di non poter vivere la strada.
Si pensi, poi, alle numerose raccolte fondi organizzate per finanziare ospedali e ricerca lungo tutto lo Stivale, come quella promossa da Fedez e Chiara Ferragni che hanno sfruttato la loro popolarità per raccogliere 4 milioni di euro al fine di costruire un nuovo reparto di terapia intensiva al San Raffaele di Milano: mai come in queste occasioni è importante andare al di là dei singoli personaggi e apprezzarne la bontà delle azioni. Ammiriamo i tantissimi volontari che stanno organizzandosi per aiutare chi ne ha più bisogno, per fare la spesa, per procurare quei beni di prima necessità oggi così fondamentali.
E va benissimo se noi altri ci limitiamo a video-chiamare chi sentiamo la necessità di voler avere vicino, chi ci tiene sempre compagnia e, anche, chi a volte è lontano ma vogliamo avere al nostro fianco in un momento tanto surreale. Peccato che sia stato necessaria una pandemia per farci riscoprire la nostra umanità. Quando tutto questo sarà finito, però, conserviamo un po’ di sana preoccupazione per chi ci circonda. E ricordiamolo sempre: siamo davvero tutti uguali.