Cento anni fa, il 6 novembre del 1917 (24 ottobre per il calendario giuliano) aveva luogo la celebre Rivoluzione d’ottobre, fase cruciale della ben più ampia Rivoluzione Russa, avvenuta nel Paese più a Est d’Europa tra il marzo e il novembre di un anno storico per le sorti di quella che sarebbe divenuta, per molti decenni a venire, l’URSS.
In queste ultime settimane, tanti sono stati i giornali e le tv che hanno dato spazio alle celebrazioni avvenute a Leningrado… pardon… San Pietroburgo per il centenario di quella movimentazione cittadina, politica, contadina e operaia che sovvertì la monarchia della dinastia Romanov a favore del partito bolscevico guidato da Lenin. Le donne e gli uomini che si fecero protagonisti di quell’evento paragonabile, per portata e conseguenze, probabilmente solo alla Rivoluzione Francese – a cui Marx ed Engels ispirarono il loro pensiero – guidarono la lotta di liberazione di milioni di oppressi in tutto il mondo all’indomani del primo conflitto mondiale contro i poteri del nuovo capitalismo.
Anche in Italia non sono mancati i nostalgici di quel sentimento d’orgoglio e passione che spalancò le porte a un governo che fece dell’uguaglianza sociale il suo cavallo di battaglia, che mise in discussione la sottomissione delle donne, legalizzò il divorzio e l’aborto, abolì le discriminazioni contro gli ebrei, anche al netto di tutte le contraddizioni che lo distinsero. Già, perché al contrario di come molti finti perbenisti credono, subito pronti a puntare il dito verso le migliaia di morti che fece il comunismo sovietico – salvo poi spolverare il busto del Duce e baciare la croce (celtica o cristiana, fate voi) mentre un nuovo barcone non raggiunge le coste – il nuovo sentimento socialista che si è sviluppato, in particolar modo nel nostro Paese, ha sempre condannato l’incompatibilità di quelle vittime con il processo che ispirò i giorni d’ottobre. O, perlomeno, è ciò che intendiamo fare noi anche attraverso questo articolo.
Non si distanziava da quest’ottica nemmeno il vecchio e compianto PCI, con Enrico Berlinguer che in un celebre discorso in occasione del sessantesimo anniversario della Rivoluzione Russa dichiarò: L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi il valore universale sul quale fondare un’originale società socialista. Anche adesso, dagli enormi sforzi che le forze rosse mettono in pratica per godere di un solo istante di quelle telecamere che sembrano riservate solo ai pregiudicati che compongono le liste dei partiti più vista, padroni di ogni mezzo d’informazione, si può comprendere facilmente quanto le ideologie che mossero la rivolta bolscevica siano le principali e uniche antagoniste di un capitalismo ormai metastatico che è, invece, sì pregno di tutte quelle contraddizioni che la società moderna imputa al comunismo. Non c’è, infatti, Paese al mondo che non sia afflitto da una guerra o che non veda impegnati i propri soldati in territori stranieri con indosso la mimetica e il fucile, non c’è terra in cui i fondamentalismi religiosi e politici non stiano dando vita a un’ondata di terrore e violenza che ha tristi e bui precedenti nella storia. Non si può chiudere gli occhi rispetto al razzismo che dilaga nell’animo anche di chi se ne crede esente, in un conflitto ultimi contro penultimi che favorisce solamente la scalata dei nuovi ricchi, in possesso, come mai prima, della maggior parte delle ricchezze mondiali.
Il comunismo, in Italia, attraverso una minuziosa operazione chirurgica, fu dato per morto all’indomani del mega-processo di Mani Pulite e al successivo scioglimento del Partito Comunista in favore di una quercia che non ne ha mai, effettivamente, seguito le gesta e assecondato i precetti, e con la neonata Rifondazione Comunista che non ha saputo recitare il ruolo di protagonista del panorama politico nazionale, se non per qualche sporadica operazione di disturbo, spesso a discapito proprio degli stessi governi di centro-sinistra. La caduta del Muro di Berlino, poi, ha definitivamente cancellato dall’Europa capitalista ogni traccia di quel sentimento che lottava contro le ingiustizie che l’effimera libertà concessa dal sistema moderno propone ma che, a tutti gli effetti, si è sempre rivelata un’abile orchestra di burattini, con noi a fare la parte delle marionette.
Sono anni, ormai, che i simboli di quegli ideali, in Italia quanto in Europa, sono scomparsi dai palazzi, con i partiti di pseudo-sinistra che si sono colorati di ogni tinta possibile, dall’arcobaleno all’arancione, tutto fuorché il rosso della falce e martello, pronti poi a ogni indicibile accordo al solo scopo di mantenere l’agognata dorata poltrona. Pertanto, ha ancora senso parlare di comunismo?
Come il neo-segretario del Partito della Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, un giovane attivista abruzzese subentrato a un opaco Paolo Ferrero, sostiene: ll motivo per cui milioni di giovani preferiscono i 5 Stelle alla Sinistra è che quest’ultima non ha il coraggio di dire che bisogna rovesciare il sistema. Un sistema che lascia fuori della porta metà del Paese. Una Sinistra troppo preoccupata di ‘rassicurare’ gli spettatori dei talk show, apparendo moderata, affidabile, di ‘governo’.
Il punto cardine della questione, quindi, a cent’anni da quei giorni che ancora si sente la necessità di ricordare con nostalgia, coincide esattamente con quanto condiviso da Acerbo sulla sua pagina Facebook. La sinistra, il comunismo, per aver senso d’esistere ha bisogno di tornare a essere estrema, a rivendicare i propri simboli, le proprie battaglie, la propria storia. Le mezze misure – la storia recente lo ha ormai certificato – non hanno fatto altro che proporre un campo di gioco troppo agevole alla compagine avversaria, di natura oligarchica, che ha voluto vederla sparire non solo dagli scranni del potere, ma anche dalle idee delle persone comuni, dei lavoratori, degli insegnanti, degli studenti – di cui si faceva il principale difensore –, lì dove trovava carbone per le proprie macchine, lasciandoli al fascino esercitato dalle nuove destre.
Ha, quindi, senso oggi parlare di comunismo ancor più di ieri. Ha senso oggi parlare di comunismo poiché i problemi sociali e le diseguaglianze economiche hanno ripreso forma in maniera importante, ricordando fasti poco onorevoli per il nostro Paese e non solo. Ha ancor più senso oggi parlare di comunismo a fronte delle quotidiane rivendicazioni fasciste che scuotono l’equilibrio dei nervi dello Stato, che agitano razzismi e xenofobie. Ha senso oggi parlare di comunismo perché una rivoluzione come quella d’ottobre del 1917, nelle idee, nelle intenzioni, sarebbe l’unico istinto in grado di contrastare un ordine mondiale che ha consegnato la vita di ciascuno di noi a dinamiche di cui non controlliamo l’andare e che ricordano periodi sfociati nei conflitti bellici che ancora occupano le pagine più buie della storia del mondo. E, forse, resterà comunque una splendida utopia.