Contributo a cura di Serena Acampa
Con l’imminente fine dell’estate e l’autunno ormai alle porte, un unico pensiero fisso torna a tormentare le menti di noi adolescenti: l’inizio della scuola. È sempre difficile abbandonare l’atmosfera rilassata delle vacanze per tornare tra i banchi, soprattutto per chi, come me, il prossimo giugno dovrà affrontare il famigerato “esame di Maturità”. Mi sono fatta coraggio pensando che quello che sta iniziando sarà l’ultimo anno e poi, finalmente, potrò affacciarmi sulla mia vita da “adulta”. Ma, più sento questo ultimo primo giorno avvicinarsi, più il pensiero di interrompere la routine alla quale mi ero quasi affezionata mi trasmette uno strano senso di malinconia. Sono davvero pronta a lasciare l’ambiente protetto che è, ora, la mia classe per proiettarmi nel mondo? Ho raggiunto la maturità adeguata per cavarmela da sola?
Spesso, il mio professore di filosofia parla di come prima, ai sui tempi, i liceali bramassero l’età adulta, si sentissero vogliosi, ma soprattutto pronti ad affrontare il futuro, mentre ora di crescere e iniziare a camminare con le proprie gambe la mia generazione non ne voglia sapere. Dice che la scuola di oggi faccia tutto tranne che formare persone preparate, non solo strettamente in senso culturale, ma soprattutto alla vita. E, sinceramente, non me la sento di dargli torto.
Sono troppe le agevolazioni, gli stimoli esterni che nulla c’entrano con l’indirizzo d’istituto, lo studio conta sempre meno rispetto alle attività extracurricolari, riforme su riforme non fanno altro che diminuire le effettive ore di lezione sostituendole con svilenti iniziative come l’alternanza scuola-lavoro, che finora – per esperienza personale – tutto ha fatto tranne che prepararmi a quella che domani dovrà essere la mia vita fuori dal Flacco. Il tempo perso in riunioni “inutili” è risultato superiore rispetto a quello davvero adoperato per imparare come orientarsi nel mondo del lavoro, o, peggio, in esperienze lavorative cui ci hanno forzati e che, per la maggior parte, non rispecchiavano neanche lontanamente le nostre ambizioni future. Il risultato? Menti ancora più confuse e metà del programma di quarta da cercare di recuperare il più velocemente possibile durante quest’ultimo anno in cui la mole di argomenti da affrontare, già da sola, non sarà una passeggiata.
Il mio professore parla, inoltre, di come ormai la scuola formi pezzi di me… (anche se lui, uomo dotato di una schiettezza oserei dire illuminante, l’abbreviazione suggerita dal tormentone estivo di Levante non pensa neanche lontanamente a usarla!), ribadendo che è proprio il sistema scolastico odierno, non più basato su meritocrazia e impegno nello studio, ma su competizione malsana e giudizi formulati su tutto tranne che sul nostro effettivo livello di apprendimento, a trasformarci in tali.
Affacciandomi al mio quinto anno, quindi, non riesco a far altro che chiedermi: mi sto trasformando anche io in un pezzo di me…?
Facendo a gara a chi più prende parte a qualsiasi tipo di iniziativa e a chi più riesce a mettersi in mostra (anche a scapito degli altri), studiando solo quando serve, per far bella figura all’interrogazione, sacrificando il mio io per uniformarmi a quello che il sistema in cui sono inserita vorrebbe perché si deve fare, altrimenti da qui non me ne vado. Sostenendo un qualcosa che ormai tende sempre più a preservare le apparenze, mentre i contenuti con il tempo stanno venendo a mancare. È questo che sono destinata a essere? Che le generazioni future sono destinate a diventare?
Assurdo, forse anche paradossale, è che tra gli studenti, più di tanto non ci si lamenti: fa più comodo così. La politica mira a rendere la strada da percorrere sempre più facile e noi, come un unico, grande gregge di pecore, ci lasciamo guidare senza opporre resistenza, senza un minimo di senso critico. Perché sappiamo che, in questo modo, alla fine, al diploma ci si arriva tutti e con meno fatica. Ma a quale prezzo? L’effetto che ne deriva è che più ci penso e ancor meno mi sento pronta per quello che dovrò affrontare una volta diplomata e detto addio alla mia “cara” scuola, partendo dalla scelta dell’università, fino a decidere cosa poi vorrò fare della mia vita. Brancolo nel buio.
Hai ancora un anno per pensarci, mi ripetono in molti, ma se quest’ultimo lo affronterò con le stesse intenzioni con cui ho affrontato i passati quattro non andrò molto lontana. E se me ne fossi resa conto troppo tardi? A fronte di tutti gli ulteriori cambiamenti e le riforme che si approvano, poi, non oso immaginare cosa attenderà i ragazzi che affronteranno la scuola quando questa non sarà più una mia preoccupazione quotidiana. Resta la speranza che, finalmente, aprano gli occhi, che si rendano conto che la strada più facile non sempre è la migliore. Magari un po’ prima di quanto l’abbia fatto io stessa.