Tocco tutto,
trovo poesie nel braille
di un vaso di cristallo
e prosa in un posacenere vuoto.
(La seta della cravatta)
Amore e morte è il lavoro di una vita, la summa poetica dell’autrice statunitense Moira Egan che raccoglie le sue poesie nuove e scelte nell’ultimo titolo della collana Controcielo di Tlon edizioni. Nella traduzione di Damiano Abeni che, insieme alla compagna Moira Egan, conduce studi e traduzioni sulla nuova poesia americana, Amore e morte ha una veste grafica originale, sia per il formato quadrato sia per l’illustrazione di Caterina Ferrante che, con la scelta dei colori, anticipa il dualismo dei due temi cardine – riportati anche nel titolo – che l’autrice affronta attraverso un corpus di componimenti nuovi e editi (con testo originale a fronte), senza però sorvolare su tutte le altre sfumature nel mezzo; anzi, le scuote e, appunto, tocca tutto.
Tenerezza, scoperta, rancore, nostalgia, privazione, sessualità, ciascuna di queste sfumature appartiene, in una forma ibrida e inconsueta, alle varie sezioni in cui il volume è diviso. In una successione tematica che parte dalla sestina del Proemio, che passa (tra le altre) per la sequenza di poesie della Filosofia, per concludersi brevemente in un Altro che, invece, si fa specchio di un tempo molto più attuale e di isolamento (cioè quello provocato da un virus arcano da cui nessuno è immune, per cui non ci si bacia, non si mischia la saliva e per cui si è distanti tutti), la Egan con rigore e conteggi, giochi di lettere e di metrica, usa la sinestesia come figura retorica trainante. Sono i sensi, meglio se insieme, a governare le pagine.
Amore e morte è un’opera che ha l’ambizione di contenere la molteplicità dei sensi. Tutto è eros, persino la tenerezza. La scrittrice Melissa Panarello introduce il volume di poesie, partendo dai colori e dai Paesi, spesso del Mediterraneo, che qui sono nominati, quei posti in cui, camaleonticamente, si vive nelle sfumature di ogni giorno. E la vita è proprio quella che sta nel mezzo, tra l’Amore e la Morte, tra il fuoco e il ghiaccio, tra il rosso e il blu; così come nel sesso nasce e muore ogni cosa e vi si accomoda tutto quello che, per accidente o per necessità, ti piace e ti consola, un po’ ti fa morire ma che importa, la morte fra le braccia dei sensi è sempre dolce.
Chiudendo con una denuncia alla censura a priori verso le donne che trattano la carnalità e conducono un discorso sul corpo che non vuole essere categorizzato come erotico, che non vuole essere categorizzato affatto, che vuole essere svelamento e insieme desiderio di aggregazione, Melissa Panarello passa la parola a Moira Egan e invita gli ultimi timorosi a sentire come lei, come sente il poeta.
Dedicata all’amato, a sua madre, al padre, un po’ a se stessa, a Patrick, a Lucy Rosenthal o a Giuliano e Giuseppina, la poesia qui è insieme essenza, concretezza e memoria, e quindi spirito, corpo e mente. Tutto ciò che è toccato è pensato, o viceversa, e si fa profumo, luogo e senso. Il senso si regge sempre su un oggetto concreto – come uno scrigno o un frutto maturo – e, attraverso la disciplina pratica della scrittura, si libera diventando umano, intellettuale, esperienziale.
Così, in Sonetto sul tovagliolino di un bar (#10), leggiamo di una fanciulla maledetta, con una traccia nera di kajal (Che sortilegio vudù mi ha lanciato quel bacio lontano?) oppure di un’altra, ma che è sempre la stessa, che vuole innamorarsi, ma per sempre no (#22). Leggiamo poi, in Terapia di gruppo per i personaggi femminili dell’Odissea, di una Penelope, una Circe, una Scilla, una Sirena che a turno prendono parola per esprimere lussuria e turbamento personali, rispetto a una vicenda che ruota attorno allo stesso eroico e sventurato uomo. Tra modernità, ironia, mito e cura, nelle poesie di Amore e morte appaiono anche l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso danteschi, in un percorso che, stavolta, si serve di un senso specifico, l’olfatto, e di note di testa, di fondo e di cuore.
E poi c’è la luna: Che cosa significa essere governata dalla luna? (Ghazal: Luna); Luna Vecchia, della Neve, Linfa, Erba, Latte, Rosa, del Tuono, Luna del Mais Verde, della Frutta, del Raccolto, Gelo, Lunga Notte, Luna […] lo è sempre, è la luna. È questa che influenza il primitivismo di sensazioni, con i suoi fiori e i capelli randagi, mentre in assenza di essa troviamo il buio. Nella poesia Bête noire (tradotto dal francese “bestia nera”), il buio è un’entità di cui fidarsi ciecamente; l’autrice lo paragona a un morbido gatto nero che le accarezza la guancia con gli artigli del tutto inguainati, al contrario della notte, che si presenta invece del tutto sguainata. È qui, nella notte, che emergono i ricordi di un padre che barcolla e va via e una madre che non riusciva a addormentarsi senza luce. Allora ne è riconoscente, lo stringe come un mantello antico – il buio – e, qui, respira.
Insomma, la poesia è il genere più vivo, è corpo gioioso e dolente; è Morte perché nel buio si consola ed è Amore perché soltanto la carne tenera e selvaggia della persona amata o non più amata può ispirare versi dai colori puri, iniziatici. Moira Egan nel volume la riprende molte volte, la poesia, nella sua essenza viva; invoca la Musa, cita Yeats e tutti gli altri, e afferma: Queste sono le mie poesie, pistillo, stame, sangue e lividi; e le unghie le terrà corte, smaltate ma corte, per poter battere sui tasti di una macchina da scrivere che schiocca, ma comunque affilate, per graffiare la schiena all’amante-palinsesto.
È una sorta di fuoco sotterraneo […] Nella donna, il calore è uno stato di intensa consapevolezza sensoriale che include la sua sessualità, ma non si limita a questa (Donne che corrono coi lupi). Per Clarissa Pinkola Estés, scrittrice e psicoanalista statunitense, è di questo che si tratta quando si parla del “sentire”: di calore, di qualcosa che prende linfa vitale dall’inconscio, denigrato come oscenità dalla cultura mondiale che tiene da sempre sotto chiave le sensazioni non autorizzate. Ma quali sensazioni? Quelle sacre e istintive insieme, e non c’è nulla di più liberatorio che esprimerle con una poesia.