Chi ha il vizio dei libri sviluppa una nasometria efficace, capace di fiutare fra i circa 70mila titoli prodotti ogni anno in Italia (inclusi i testi scolastici). La gran parte di questi titoli, anche se ottiene una comparsa in TV e nata per un pubblico generalista, va al macero, diventa fondo di magazzino dopo pochi mesi. Ciò, evidentemente, appiattisce la qualità della scrittura e delle analisi (contribuire a comprendere il mondo in cui si vive). Anche la poesia registra innumerevoli edizioni ma con una particolarità: tutti ne scrivono e nessuno ne compra o ne legge. Qui intervengono le emunctae nares del lettore vizioso che, davanti a lavori come quello che mi è giunto, può, con soddisfazione, esprimere un «Ah!» di meraviglia. Cosa mi è giunto? Amnesie, di Lindo Fiore, curato dal musicologo, artista e calligrafo Antonio Poce (ed. Keiron Network, Bolzano 2020, 150 copie numerate).
Fiore e Poce hanno trasferito in questo manufatto (un quadrato nero, esoterico, sul quale campeggia, in bianco, il titolo, Amnesie) i rispettivi saper fare: tutto, soprattutto i dettagli, concorre a creare un metasenso, dichiara la Cura dell’edizione, che suscita rispetto per il lavoro e le competenze profuse. Ad esempio, il volume è dotato di un bel segnalibro, quasi a evitare amnesie (tipo: «Dove ero arrivato?»). Gli autori, col corredo fotografico di Giovanni Poce, sono tre ma il libro sembra di un unico autore (meglio: il lettore non ricorda più chi è l’autore) e le forme, gli stili, sono perfettamente integrati. L’incipit ha una nota essenziale del poeta Sergio Zuccaro, notoriamente “poeta di corte” perché scrive poesie brevi.
In ordine al vissuto che traspare nel libro (la poetica, la voce), il sussurro di Fiore e la sua trasparente corporalità si riconoscono subito. Grande privilegio. Ovviamente, per non dimenticarsi, Amnesie inizia con un autoritratto di cui diamo qualche verso: ho conosciuto Elmerindo Fiore da bambino/ assistette al parto di una gatta/ al serpente nei pressi delle rose/ …ora che ne ha cinquanta e uno di anni non lo riconoscerei. Chi è Fiore se non, come ciascuno, la somma di tutti gli attimi che ha dimenticato, se non i luoghi, soprattutto francesi, che, segnalibro vivente, ha frequentato? Commovente ricordare gli amici e le persone laterali che il poeta ha conosciuto quasi che, vedendo i loro occhi mentre i suoi guardano a terra, intercetti se stesso, un aspetto della sua vita, un suo simulacro. L’effetto di straniamento, caratteristico della poesia, è che finiamo col credere che queste persone le abbiamo conosciute anche noi e anche noi ci scopriamo con gli occhi bassi.
Tutta la poetica di Fiore ha come emblema o spaventa-ombre un personaggio dimenticato: Steve, un uomo che appare una sola volta ne La terra desolata di Eliot e di cui si perdono le tracce. È sulle impronte di quest’uomo invisibile che Fiore poggia i piedi ed è di un’eterea Rrose Sélavy che è innamorato esaltando, come Duchamp, la propria parte femminile. Fra i vari tipi di amnesia studiati dalla psicanalisi e dalla medicina, quella di Fiore è certamente dissociativa (parla in terza persona) o post-ipnotica (la poesia e il raccontare come trance indotta). Cosa succede quando abbiamo un’amnesia? La nostra mente, di cui osserviamo consapevolmente il movimento, vaga, soffre, cerca agganci, utilizza tavole di ponte; non sappiamo più cosa stiamo cercando ma sappiamo che cerchiamo qualcosa che ci sfugge, che si nasconde. Cosa? Non un nome o un oggetto ma il senso che quel nome e quell’oggetto evocano.
Visivamente un’amnesia si muove come un fiume e si intorbida nei meandri. La forma grafica dei versi di Fiore ripete queste strutture, le foto sono immagini sulla superficie di un’acqua che non bagna e colpita da ciottoli. La poesia è grande quando modifica il vissuto del lettore, lo aiuta a superare l’aporia “individuo-società” (l’uno e i molti) per cui lo spettro sociale ci pretende come individui purché omologati a esso.