Le elezioni amministrative che interesseranno circa 1300 Comuni, tra i quali Milano, Roma, Napoli, Torino e Bologna, già da tempo agitano le acque tempestose della politica nelle grandi città come nei piccoli centri, dove la ricerca dei nomi da proporre il prossimo ottobre, in particolare per la sindacatura, è frutto più di indicazioni finalizzate a sondare le reazioni dei potenziali alleati che di una preferenza scaturita da un dibattito interno alle forze politiche. Quasi sempre, infatti, si tratta di decisioni dei leader di partiti o movimenti che ormai non si confrontano più con la base per definire programmi e strategie e, certamente, non è lo strumento delle primarie, dove previste, la garanzia della scelta che, in più di un caso nel recente passato, ha determinato disastri irreparabili.
A prendere maggiormente quota, questa volta, sono le autocandidature che, seppur legittime sul piano giuridico, restano incomprensibili su quello politico, con le alleanze imposte e spesso non condivise che generano prese di posizione del tutto personali. Virginia Raggi, ad esempio, non ha perso tempo ad autocandidarsi per la sua rielezione nella Capitale, tra dubbi e incertezze del MoVimento – che avrebbe preferito assecondare maggiormente il balletto degli accordi per le grandi città – e, non ultimo, il timore di una solenne sconfitta che in questo momento non gioverebbe di certo al tentativo ancora tutto da comprendere dell’ex Presidente del Consiglio di risollevare le sorti della forza politica maggiormente capace di collezionare clamorose sconfitte una dietro l’altra.
A Roma la Sindaca si troverà, almeno per il momento, a dover competere con l’eurodeputato ed ex Ministro Carlo Calenda, già da tempo in corsa per conquistare il Campidoglio certo del proprio successo e forte del sostegno del partito del 2% di Matteo Renzi, in attesa che il PD ufficializzi il nome che tirerà fuori dal cilindro e che, a quanto pare, risponderà a quello dell’ex Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, anch’egli autocandidatosi.
Attualmente, per l’alleanza PD-M5S non sembra esserci alcun presupposto nemmeno a Torino, dove la Sindaca uscente Appendino ha escluso del tutto l’intesa con il Partito Democratico e dove l’unica soluzione sembrerebbe l’individuazione di un candidato indipendente. Ancora una volta, le due forze al governo, che sembrano voler consolidare e privilegiare il loro rapporto, trovano resistenze nelle realtà locali delle maggiori città con la sola esclusione di Napoli, dove – stando alle indiscrezioni – il nome dell’ex Ministro Gaetano Manfredi sembra trovare entrambe concordi.
Come abbiamo più volte ribadito, però, il capoluogo campano presenta qualche problema in più per il Partito Democratico, già reduce da due solenni sconfitte alle Amministrative a opera dell’ex PM de Magistris e, oggi, per l’autocandidatura – forse la più clamorosa, quella che avrebbe dovuto scuotere il PD trattandosi di un suo uomo di spicco – di Antonio Bassolino, intenzionato a rimettersi in gioco ancora una volta con una lista del tutto personale. L’ex Sindaco e Presidente della Regione, ben consapevole della disastrosa condizione del suo ormai ex partito, ha preferito non essere coinvolto in un possibile nuovo flop, continuando la propria marcia solitaria evitando ogni polemica e affidando alla memoria degli elettori la sua eventuale rielezione. E sarà proprio questa l’elemento che ne deciderà le sorti.
Intanto, nell’incessante rimbalzare di nomi in direzione Palazzo San Giacomo continua a essere tirato in ballo quello del Presidente della Camera Roberto Fico. Non è dato sapere, però, quanto il MoVimento sia interessato a tenerlo lontano da Roma e quanto sia il timore, da parte del PD, per la fragilità del proprio potenziale esponente. È pur vero che Fico è stato già candidato alla poltrona di Sindaco nel 2011, quando tutti furono travolti dall’onda arancione, ma appare alquanto improbabile che oggi la terza carica dello Stato possa lasciare il prestigioso incarico se non in possesso di garanzie che nel quadro politico attuale risultano pura utopia.
Le incertezze in casa PD, la probabile candidatura a destra del magistrato Catello Maresca indebolita unicamente dalla corsa autonoma di Fratelli d’Italia, potrebbero favorire quella di Antonio Bassolino e, ancora di più, quella della giovane Alessandra Clemente, forte della sua esperienza amministrativa e di un gradimento trasversale per il proprio impegno a favore della legalità anche in condivisione con associazioni e movimenti impegnati nel sociale.
Insomma, il tema delle alleanze strategiche sembra trovare sempre più difficoltà di realizzazione – tranne nel caso di quella ecumenica attualmente al governo grazie al collante del Recovery Fund – e le ragioni sono da ricercare unicamente nella crisi dei partiti, nelle confuse e talvolta inesistenti identità degli stessi, nella mancanza di dibattito interno e nell’incapacità di coinvolgere in particolare i giovani in progetti ambiziosi e, come amava ripetere Aldo Moro, guardando alla politica come arte del sognare insieme.
Con la massima disinvoltura, il nuovo ha indicato ai giovani il vuoto ideologico, l’inutilità delle idee e dei principi fondamentali, dall’abbraccio con la peggiore destra leghista a quello con il Partito Democratico in appena pochi mesi, come nulla fosse, utilizzando lo strumento falsato della democrazia, una piattaforma espressione del parere di una percentuale ridicola limitata a un sì o a un no. Tutto come nei peggiori incubi. Altro che politica come arte del sognare insieme.