Tutti d’accordo alla Camera: sì all’aumento delle spese della Difesa per un extra budget di 8 miliardi di euro, sì alla misura che porterà il nostro Paese a investire 100 milioni al giorno in armi, bombe e addestramenti militari, il 2% dell’intero PIL. Lo hanno chiamato Decreto Ucraina per far leva – chissà – sulla questione morale che coinvolge ognuno di noi nel guardare alle immagini provenienti da Kyiv, altro non è che l’ennesimo gettito di denaro che andrà a incoraggiare azioni di guerra.
Il Parlamento ha votato – nella giornata di giovedì – un impegno da parte del governo ad aumentare le spese militari di 13 miliardi annui, che così passeranno dagli attuali 25 miliardi a oltre 38. Il panorama politico, così come quello dell’opinione pubblica, si trova – come mai prima – incredibilmente allineato, destra e sinistra, giornali e discussioni da bar: il conflitto nel cuore dell’Europa non ammette interrogativi, non vuol sentire pensiero discorde.
L’Italia che ripudia la guerra, l’ago della bilancia – spesso – nelle questioni di pace, si scopre un Paese pronto a imbracciare le armi. E chi, come noi, si ostina a invocare la pace e la strada della diplomazia, subisce le critiche di quanti rispondono con il dovere morale di contrastare il nuovo dittatore, il nuovo Hitler, paragone che lo Stato di Israele ha fortemente condannato e che – in tutta sincerità – si sta proponendo come una pericolosa pagina di revisionismo storico che fa male non solo agli ebrei.
L’Italia, con questa nuova ingrassata in favore delle spese militari e dell’invio di armi verso l’Ucraina, si iscrive – pure se non direttamente – a una guerra che non rappresenta (ancora) una minaccia diretta, anzi, allinea la propria posizione con quella di chi questo conflitto lo sta già combattendo e a chi lo provocava. Perché al contrario di quanto il pensiero dominante vorrebbe, non bisogna avere paura nel ricordare le azioni di armamento degli Stati Uniti in favore di uno Stato, l’Ucraina, che nulla c’entra con la NATO e gli accordi tra gli alleati del Patto Atlantico, tra il 2014 e il 2020.
Quanto appena descritto non solleva Putin e la Russia da nessuna delle loro responsabilità, ma l’Italia, accettando lo stato di Paese cobelligerante, rinuncia al ruolo di mediatore che, invece, avrebbe potuto assumere nella vicenda dati i rapporti – commerciali, ma non solo – cruciali con Mosca, per entrambe le parti in causa. Il decreto prevede, infatti, il rafforzamento della presenza dei nostri soldati nelle iniziative della NATO e la cessione a titolo gratuito all’Ucraina di mezzi militari e di armi letali e non.
Quel che grava sul Decreto Ucraina è l’assoluta inutilità proprio nel determinare le sorti di Kyiv a fronte di un aumento spropositato di risorse economiche che massacrano le aree del cosiddetto welfare già falcidiato dalla pandemia. A nulla sono valsi due anni di sacrifici e di emergenza, la morte di 158mila persone viene svilita ancora una volta. La voce di quanti approfittavano di ogni occasione possibile per invocare maggiori risorse nei confronti della sanità, delle infrastrutture, dell’edilizia scolastica si perde in una eco che non è già più utile ai propri scopi propagandistici. Destra e sinistra ora governano assieme, e i soldi li girano laddove li hanno sempre girati.
Così, ecco che due giorni di spese militari equivalgono al costo stimato per la cosiddetta indennità di discontinuità (210 milioni l’anno) proposta per garantire un minimo di costanza nel reddito dei lavoratori del mondo dello spettacolo – il più colpito dagli effetti del Covid – ma già accantonato dalla politica perché non ci sono risorse. Guerra sì, cultura no, questione di priorità, forse consci che con la seconda si rischierebbe di evitare la prima.
Non ci sono risorse, dunque, per la sanità, per la scuola, per la ricerca, per il lavoro, per l’accoglienza (non solo dedicata a chi ha gli occhi azzurri e i capelli biondi), non c’è tempo per una legge che imponga il salario minimo, e il ritorno al carbone toglie dall’imbarazzo di dover destinare fondi a una sempre procrastinabile transizione ecologica dell’energia. Vergogna!
Lo hanno chiamato Decreto Ucraina perché facesse leva sul nostro buon cuore, perché suonasse solidale con una popolazione che stiamo contribuendo a mettere in difficoltà, perché dichiarare di cercare la pace attraverso le armi avrebbe stonato anche ai più strenui difensori di questo scempio che ancora si compie a poche centinaia di chilometri dai nostri confini.
Hanno scelto, e hanno scelto ancora una volta le armi. Nei giorni in cui il costo della vita di qualunque italiano diventa insostenibile, con i beni di prima necessità che gravano sul conto di una famiglia quanto (e più di) qualsiasi bene di lusso, la politica dimostra di perseguire la strada di sempre, quella fallimentare del neoliberismo, quella che quando fallisce – e ciclicamente accade – bisogna azzerare tutto. E le bombe sono il migliore strumento per compiere l’opera.