Qualche tempo fa, ho coronato un sogno probabilmente condiviso e sono andata a Disneyland. Di tutte le cose belle che qualcuno cresciuto a pane e favole Disney può incontrare in quel mondo magico separato dal nostro, ho potuto realizzare qualcosa di sorprendente. Mi sono guardata intorno per tutto il giorno e l’unica cosa che ho visto, ovunque, era Elsa. Bambine di tutte le età che indossavano il suo abito azzurro, trecce bionde, qualche sorella minore vestita da Anna. Ogni negozio, ogni punto vendita, ogni menù personalizzato pieno di neve, di Olaf e di renne. Ho forse tratto la conclusione che deve essere stato il film più bello mai prodotto? No, ovviamente, a ognuno i propri gusti. E non credo neanche che vada idealizzato, perché certamente non è il film più inclusivo mai visto. Ma osservando le differenze con i film che piacevano alla mia generazione, una cosa è chiara: alle bambine di oggi piacciono le fiabe femministe.
Quando ero bambina io, le principesse Disney erano fanciulle da salvare. Quando ero bambina io e ognuna di noi sceglieva la propria di principessa, sceglieva implicitamente anche il principe che l’avrebbe salvata. Perché erano così le fiabe dei nostri tempi. Ricordo di essermi spesso risentita con la me stessa bambina per essersi nutrita di quella dieta mediatica imposta dall’alto, per averla amata, per esserci cascata. Ricordo il mio animo di piccolissima femminista risvegliarsi da un sonno profondo la prima volta che vidi Mulan, l’unica delle principesse classiche un po’ al confine con quelle di oggi, una donna che si salva da sola e che, addirittura, salva – attenzione: spoiler – la Cina intera. Una donna forte, potente, risoluta. Peccato che per riuscirci debba fingersi un uomo, solo dopo essersi struccata dalle frivolezze femminili, naturalmente.
Insomma, alle fiabe che rifilavano a noi, e che ci piacevano, di femminista non c’era proprio niente. Erano solo rifacimenti edulcorati di favole inventate secoli prima in un mondo escludente, che usavano metafore violente e sanguinarie per dire alle donne di stare al loro posto. Basti pensare a Cappuccetto Rosso, alla sua mantella del colore del sangue mestruale che rappresentava la pubertà e la scabrosità della scoperta della sessualità, una bambina troppo vivace che si affaccia nel fitto bosco pieno di insidie e osa rivolgere la parola a un maschio, ritrovandosi così preda degli istinti animaleschi che risultano impossibili da controllare anche nelle narrazioni contemporanee. Insomma, le fiabe che rifilavano a noi manifestavano neanche troppo velatamente il tentativo di mantenere lo status quo, e noi le lasciavamo fare. O almeno così credevo. È stato per questo che vedere tutte quelle regine dei ghiacci mi ha sorprendentemente scaldato il cuore, perché ho realizzato che forse non era come avevo sempre pensato.
Ne avevo già avuto un assaggio con la passione sfegatata che le bambine della mia famiglia hanno sempre dimostrato nei confronti di Frozen, ma non avevo capito a che punto arrivasse il cambiamento, non avevo capito che l’unica principessa – anzi regina, perché le bambine di oggi le cose le fanno per bene – di cui oggi importa a tutti è Elsa. Una donna potente, risoluta e intelligente, che non ha bisogno di un uomo per essere se stessa o per salvare qualcuno. Non fraintendetemi, non sto dicendo che sia un film perfetto e scevro da ogni influenza patriarcale, perché di problemi ne ha eccome, a partire dalla rappresentazione del potere fino ad arrivare ai canoni di bellezza sempre immodificabili. Penso, però, che sia un progresso rispetto a ciò che guardavo io, un film equilibrato che mostra due donne, una con un uomo e una senza, entrambe realizzate, entrambe loro stesse, che sanno salvare e salvarsi, oltre che lasciarsi salvare.
Ero felice di scoprire che alle bambine di oggi non importa del principe, che non è l’amore salvifico il loro obiettivo, ma avere la forza di essere loro stesse senza temere ciò che hanno dentro. E mentre le guardavo e le ammiravo passeggiare nei loro vestiti glaciali, mentre le invidiavo per essere nate nel momento giusto, durante il cambiamento, mi sono detta che forse non hanno fatto tutto da sole. Che loro hanno solo scelto il personaggio giusto, ma che a darglielo siamo state noi.
A pensarci bene, in realtà, non è vero che alla fine tutte volevamo il principe. Era quello che ci inculcavano tutte le storie Disney disegnate su misura per il sistema, tutte quelle favole rese film animati che ci dicevano che solo un uomo poteva salvarci. E noi iniziavamo già a ribellarci all’epoca, anche se non lo sapevamo. I film delle principesse sono stati parte fondante dell’immaginario di tutte le bambine della mia generazione e di quella precedente, e vedere quelle giovani donne salvate da affascinanti principi avrebbe dovuto tenerci buone. Eppure, in qualche modo, non è stato così.
La mia preferita di tutte le favole, quando ero bambina, era Cenerentola. Solo al pensiero di quale sia la storia che componga il film, oggi, mi vengono i brividi, eppure all’epoca non volevo guardare altro. Ero una ingenua e manipolabile bambina affascinata dal principe azzurro? No, niente affatto: a me di Cenerentola piaceva la Fata Madrina. Guardavo e riguardavo la scena di Salagadula Magicabula Bibbidi Bobbidi Bu a ripetizione, mandando indietro la videocassetta decine e decine di volte. A me, a noi, piaceva la magia.
Non mi interessava granché della silhouette della bionda principessa, a me piaceva la tarchiata e magica fata. Non mi importava del matrimonio né del principe dai capelli gelatinosi – dopotutto chi lo guarda più il film dopo l’iconica scena del Le va! Le va! – a me faceva ridere Gas Gas che rubava il mais alle galline. E, come me, le bambine a cui piaceva Aladdin amavano il tappeto volante e i desideri del Genio, quelle innamorate della Bella Addormentata invece amavano le buffe ma potenti Flora, Fauna e Serenella. Siamo state noi, in qualche modo, a cambiare le cose, a cambiare il mercato, e a dare alle bambine di oggi le Elsa, le Merida, le Raya e le Vaiana del loro di immaginario e le loro fiabe femministe.
Quelle bambine che sfuggivano allo status quo senza neanche saperlo sono le stesse che, una volta diventate adulte, hanno dato il via alla quarta ondata del femminismo, a quella più inclusiva di tutte. Quelle che sfuggivano alla faccende domestiche grazie all’aiuto dei topolini erano future donne che avrebbero ripudiato l’unigenericità del lavoro di cura. Non credo che la produzione dei film Disney abbia improvvisamente sposato ideali femministi. Non credo che l’inclusione sia diventata la loro bandiera preferita per un motivo diverso, più etico, delle logiche di mercato.
Di quando ero preadolescente e consumavo prodotti Disney in ingenti quantità, ricordo nitidamente il personaggio di Ryan Evans di High School Musical – il fratello dell’eccentrica Sharpay, altra fabulous queen a mio avviso, ma questa è un’altra storia – che vestiva di rosa e amava ballare e dava l’impressione, con quei capellini pieni di paillettes, di incarnare il prototipo più stereotipato possibile di personaggio omosessuale. Eppure, il suo presunto orientamento sessuale, mai effettivamente esplicitato, per carità, è stato subito rimesso in riga con un flirt un po’ edulcorato con qualche ragazza.
All’epoca, i genitori, questa entità astratta e collettiva ma in qualche modo collegata a un’unica mente, avrebbero impedito ai propri figli di guardare il film se si fosse visto un personaggio gay. Poi, solo dieci anni dopo, quando di prodotti Disney non mi nutrivo più, ecco che spuntano film e serie tv pieni di personaggi della comunità LGBTQIA+, ecco che si parla di identità sessuali e di orientamenti e di inclusione e di pronomi. È successo, a un certo punto, che i consumatori sono cambiati, e adesso è l’inclusione a essere necessaria e richiamare all’attenzione le produzioni che si dimenticano di distribuire equamente le parti tra personaggi di ogni genere, razza, religione e orientamento.
Ecco è qui che le cose sono cambiate, secondo me. Non c’è stata una vera evoluzione della produzione Disney che ha portato alle fiabe femministe, perché in fondo il suo unico obiettivo è vendere prodotti, ed è brava a farlo con contenuti di altissima qualità. E al mercato di essere inclusivi non frega niente. Sono i fruitori dei servizi a essere cambiati, sono i vecchi fan di Aurora a essere diventati genitori e a volere più Merida e meno principi azzurri per i propri figli. Sono i vecchi fan, che restano fedeli ai classici ma che sanno criticarli, che hanno richiesto per i nuovi bambini ideali diversi. Sono le amanti delle principesse che hanno creato un immaginario pieno di regine per le bambine che sarebbero venute dopo. E se ci penso adesso, alla mia Cenerentola, non provo ribrezzo, ma soddisfazione, perché dal classismo e dal sessismo di una storia che vede la vergogna nel lavoro domestico e il successo nel matrimonio, sono nate le donne più indipendenti, inclusive e femministe che ci piacciono oggi. È il merito è anche un po’ nostro.