Pubblicata nel 1902 sulla rivista Il Marzocco e poi confluita in due raccolte successive, la novella Alla Zappa!, sorprende per l’attualità del tema. Narra l’accusa a Giovanni, giovane prete figlio del mezzadro Siròli, di aver abusato dei piccoli ospiti di un orfanotrofio. Il racconto si apre con la descrizione del dolore di un padre che, sostenuto dalla fede cristiana e dalla speranza del riscatto sociale, ha sacrificato vita e famiglia nell’educazione del ragazzo.
L’ambiente che fa da sfondo è la Sicilia, come nella maggior parte delle novelle di Luigi Pirandello, ma essa rappresenta un qualunque posto, una qualunque condizione umana, dove le persone vivono con le loro maschere, con le loro verità nascoste. Un testo asciutto e intenso riproposto da Raffaele Messina, saggista e critico letterario, per le Edizioni Savarese, e corredato da una nota in cui si evidenziano le principali caratteristiche della narrazione.
Se la voce narrante e l’atteggiamento del vecchio padre condannano la violenza sui minori come turpe delitto e vergogna, il formalismo e gli intrighi delle autorità civili e religiose mostrano una società corrotta e falsa, disposta a occultare anche gravi colpe in nome del quieto vivere dell’ordine costituito. Significativa è la scelta del lessico che in questa novella, ha sottolineato il curatore, è particolarmente diversificato e incisivo.
Prof. Messina, questa novella è una condanna morale o una testimonianza sociale?
«Le due cose non si escludono. Nella sua prima ideazione, questa novella doveva intitolarsi Il sacerdote. Pirandello, invece, ha cambiato il titolo in Alla zappa!, affidando la radicalità della propria condanna della pedofilia all’icasticità della battuta con il quale il vecchio padre impone al figlio pedofilo di tornare al sudato lavoro dei campi. Si tratta di un richiamo alla fatica e all’eticità del lavoro dei campi che è allo stesso tempo citazione biblica e collegamento alla saggezza popolare per la quale l’ozio è proverbiale padre di ogni vizio.»
Non sappiamo perché Pirandello abbia scelto come ambientazione proprio la diocesi di Acireale e neppure se abbia tratto ispirazione da un reale fatto di cronaca, tuttavia, proprio in quegli anni, la stampa riportò una serie di scandali di abusi sessuali su minori a Torino, Alassio e Varazze che provocò violenti moti anticlericali in tutta Italia con un morto e venti feriti.
Un fenomeno abietto quello della pedofilia, condannato dalla morale tardo pagana e stoica dei Romani e, in seguito dalla Patristica e dalla Chiesa di ogni secolo che, tuttavia, ha riscontrato casi infamanti e omertà fino ai nostri giorni. Preti e religiosi non escono bene dalle pagine della nostra letteratura – pensiamo al Don Abbondio di Manzoni e a tanti personaggi delle satire del Belli o delle Pasquinate, fino alla storia di Baudolino di Umberto Eco – e, ancor meno dalle novelle di Pirandello, le quali propongono rappresentazioni così efficaci dei vizi clericali da far rischiare allo scrittore siciliano la messa all’indice dei suoi scritti.
L’autore, che ha vissuto la delusione storica propria della sua epoca, il disagio della modernità, la crisi dei valori sui quali era fondata la civiltà occidentale, non poteva rimanere insensibile a una tale offesa dell’essenza evangelica, personificando la propria ripugnanza e il proprio pessimismo nel disgusto e nella disperazione del vecchio mezzadro, simbolo di una perduta ingenuità e onestà d’altri tempi, unico volto senza finzione.
Luigi Pirandello è un grande personaggio della nostra cultura letteraria, che cosa possiamo ancora approfondire della sua opera?
«Di straordinaria modernità ed efficacia è anche la tecnica narrativa di Pirandello, la sua capacità di contaminare continuamente racconto e dialogo. Nel corso delle mie lezioni di Tecniche della narrazione utilizzo sempre pagine dello scrittore per dimostrare come si possa sfruttare la velocità del racconto sommario senza rinunciare alla freschezza mimetica delle scene dialogate: basta una battuta, un’onomatopea. Pirandello alla mano.»
Prof. Messina, secondo Lei, in cosa consiste la modernità di Pirandello?
«A ottant’anni dalla morte (dicembre 2016) o, se si preferisce, a 150 anni dalla nascita, Pirandello ci rapisce ancora. Al di là della decina di novelle, note al grande pubblico per essere state approfondite a scuola (La patente, Il treno ha fischiato, La giara, La carriola…), sono tante altre le storie attraverso le quali lo scrittore siciliano scandaglia il dolore delle creature umane, cogliendolo in figure e situazioni che sorprendono il lettore di oggi per la straordinaria sensibilità con la quale l’autore ha colto sul nascere problematiche destinate ad acuirsi nell’arco del Novecento fino ai giorni nostri: la condizione dei figli di genitori separati, l’abuso sessuale sulle donne, la maternità negata o la maternità imposta, la copertura della pedofilia nella gerarchia ecclesiastica. E potrei continuare…»
Geniale drammaturgo e artista innovativo, Luigi Pirandello, con la sua originalissima critica alla modernità e all’umana ipocrisia, domina ancora il panorama letterario italiano. La sua produzione eterogenea, nelle forme e nei temi, ha toccato ogni campo della nostra epoca con tinte sempre personalissime, raccontando le contraddittorietà dell’uomo, i mille volti della sua inspiegabile interiorità, senza dimenticare però di relazionarla con l’esterno. Un pessimismo diffuso, frutto della difficile esperienza personale e di una profonda inquietudine, che, tuttavia, mentre indica la mancanza di un senso della vita dell’uomo e la frantumazione dell’identità individuale, l’auto-inganno degli ideali, la falsità delle convinzioni sociali, invita a fermarsi, a riflettere, “magari attardarsi sul sentiero della ragione, – scrive Claudio Pennisi – piuttosto che correre alla cieca verso l’oscurità e perdersi definitivamente, soffocati dalle proprie maschere, soli e infelici.”
(Alla zappa! Una storia di prete pedofilo – Edizioni Savarese, 2011, euro 6,00)