Piazza Fontana, Ustica, Italicus, Piazza della Loggia, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e degli uomini della scorta: misteri italiani, stragi senza colpevoli, processi infiniti senza mai giungere a una verità.
«Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava»: a parlare così fu Raffaele Cutolo, l’ex capo della NCO, che in poche parole sintetizzò un altro dei grandi casi irrisolti di casa nostra, l’omicidio dell’On. Aldo Moro avvenuta il 9 maggio di quarantuno anni fa a opera delle sole Brigate Rosse, almeno secondo la versione ufficiale fino a ora, una versione che non sembra rispecchiare la verità.
Tante le interpretazioni, tanti i particolari che non convincono, interpretazioni superficiali, alcune volutamente approssimative. Eclatante, a tal proposito, quanto ricordato da Maria Fida Moro stando alla quale il 4 agosto 1974, per raggiungere la famiglia a Bellamonte, lo statista avrebbe dovuto viaggiare sul treno Italicus da cui però, appena prima che partisse, venne fatto scendere grazie all’intervento di alcuni collaboratori con la scusa di dover firmare atti importanti. Pochi minuti dopo, la celebre strage. Era lui il vero obiettivo o una strana coincidenza?
Senza dimenticare la lavata di testa, come la definì Giulio Andreotti nel corso di un’intervista all’ANSA, in occasione del viaggio del democristiano negli USA nel 1974 quando, secondo alcune testimonianze, in particolare della moglie Eleonora, avrebbe subito delle vere e proprie minacce dall’allora Segretario di Stato americano Henry Kissinger: «Onorevole, deve smettere di perseguire il Suo piano politico per portare tutte le forze del Suo Paese a collaborare direttamente. Onorevole, o Lei smette di fare queste cose o la pagherà cara, molto cara. Veda Lei come la vuole intendere, noi L’abbiamo avvisata». La moglie affermò che il marito volle restare in ombra per un certo periodo, lontano dalla vita politica, ufficialmente per una malattia.
La vera questione che preoccupava non solo gli Stati Uniti, l’alleanza tra cattolici e socialisti negli anni Sessanta e, soprattutto, il tentativo di collaborazione tra i cattolici e il Partito Comunista di Enrico Berlinguer non ebbe il gradimento delle grandi potenze e anche dei settori più conservatori della stessa DC, come confermano le affermazioni dell’ex Consigliere di Stato americano, Steve Pieczenik, che fu anche collaboratore di Cossiga: «Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa».
Tante le testimonianze e le esternazioni che non sono bastate a far luce sul mistero italiano di cui, stranamente, dopo oltre quarant’anni sembra non si voglia rivelare la verità, o peggio, volutamente si cerca di tenerla nascosta, forse perché potrebbe ancora fare vittime tra personaggi ancora in vita.
Un rapimento e un massacro che qualcuno non fu disposto ad accettare e a rassegnarsi, tanto da attivarsi in sede parlamentare, presentando nel 2013 una proposta di legge per istituire una commissione d’inchiesta ricevendo la disponibilità di molti suoi colleghi, anche di altre forze politiche, raggiungendo l’obiettivo l’anno successivo.
Gero Grassi, giornalista e parlamentare pugliese per molte legislature, moroteo di ferro, impegna tutto se stesso per la ricerca della verità conducendo direttamente indagini in ogni direzione e venendo in possesso del consistente archivio messo a disposizione dalla famiglia. Per lunghi anni al fianco di Moro, ne ha apprezzato qualità politiche e umane.
In questi giorni, impegnato in incontri per ricordare la figura dello statista, lo abbiamo contattato per qualche domanda alle quali ha risposto con grande disponibilità:
Da parlamentare fino alla precedente legislatura e ancora oggi, il Suo impegno è proteso sempre per la ricerca e l’affermazione della verità sul rapimento e l’assassinio di Moro e degli uomini della scorta. Una verità negata, come titola e documenta nel Suo libro pubblicato lo scorso anno?
«Verità negata perché autorevoli pezzi dello Stato e non solo hanno accreditato l’idea che le Brigate Rosse hanno fatto tutto da sole. Purtroppo non è così.»
«Potevo far liberare Moro ma i politici non vollero», affermò Raffaele Cutolo. «Sì, fu Gava», furono le Sue parole, come riportato da un quotidiano. Anche questo è un anello di quella verità negata?
«Cutolo è stato interrogato dalla seconda Commissione Moro. Credo dica parziale verità perché non dice tutto. Il che sarebbe peggio.»
Onorevole, da anni i mezzi di informazione propinano quotidianamente, oltre alla normale notizia, approfondimenti di fatti di cronaca nera, delitti efferati, omicidi di varia natura, ma non sembra si siano mai appassionati più di tanto all’assassinio che ha cambiato la storia del nostro Paese, quale la Sua chiave di lettura?
«Verità negata. Moro viene ucciso ogni volta che non si dice la verità. Vada a leggere quello che dice Cossiga in Tribunale sul capo del partito antitrattativista. Indica un autorevole e bravissimo giornalista vivente.»
Lei è stato un moroteo di lungo corso. Quali, a Suo avviso, le maggiori qualità umane e politiche dello statista Aldo Moro?
«Ascoltava tutti e programmava l’azione di governo per le generazioni future tenendo sempre presente e chiari i bisogni dei più deboli.»
Chi è stato Moro per l’Italia?
«Un grande statista che ha tenuto sempre presente, al centro del suo impegno, la persona.»
Il tragico epilogo rimarrà tra i grandi misteri italiani o ritiene si giungerà a una verità… vera?
«La verità vera è vicina. In Commissione abbiamo fatto ottimo lavoro. Oggi per arrivare alla fine servirebbe un pentito di Stato o un brigatista che finalmente parli seriamente. La verità non resuscita i sei morti né serve per i processi. Serve per liberare l’Italia dal peso di aver ucciso Aldo Moro.»