Un piccolo passo per l’uomo, ma un grande passo per l’umanità. All’indietro. Porre fine ai secoli di oppressione è costato anni di lotta e vite sacrificate per salvare chi sarebbe venuto dopo. Fatica sprecata, in fin dei conti. Per secoli, le donne sono state schiacciate, i loro corpi sfruttati, le loro decisioni prese da qualcun altro in nome del patriarcato, della religione e dello scopo naturale per cui esse esistono: procreare e dare piacere all’uomo. Una vita in funzione degli altri, delle necessità altrui, ma mai di loro stesse. Le donne, quelle bruciate al rogo per stregoneria, quelle stuprate senza pietà, quelle che l’habitat naturale lo trovano tra le faccende di casa. Le donne, quelle che hanno il grande onore di dare la vita e il grande onere di doverla dare per forza. Persone, ma non come le altre, persone meno umane, perché possono scegliere per sé solo fino a un certo punto.
Proprio negli Stati Uniti, proprio nello stesso anno in cui una fetta di popolazione ha allargato le proprie vedute nello Stato di New York con il Reproductive Health Act, tutti gli altri hanno impostato la retromarcia. In Alabama è stata appena approvata una legge che vieta l’interruzione di gravidanza in quasi tutti i casi, stupro compreso, con l’obiettivo di limitare gli aborti, per ora, prima di metterli al bando. Sulla stessa lunghezza d’onda ci sono anche Arkansas, Georgia, Mississippi, Utah, Kentucky e Ohio, e la strada verso la Corte Suprema sembra piuttosto spianata. Un movimento tanto appassionato quanto retrogrado, che si spaccia a favore della vita a discapito della libertà.
Essere pro life, tifare per la vita, è nobile e onorevole, come fare appello a una moralità personale e prendere le proprie decisioni in funzione solo di se stessi. Ma se tifare per la vita va bene, non vale altrettanto per chi impone le proprie scelte agli altri, proprio a chi, storicamente, è stato sempre oppresso. Improvvisamente, le donne non hanno solo meno diritti degli uomini, ma cominciano ad avere meno diritti anche degli embrioni, di esseri potenziali ma non ancora sviluppatisi. Diritti che scavalcano i diritti e che diventano abuso.
D’altronde, si rivela molto furba la formulazione della legge, che non vieta alle donne di abortire né commina sanzioni nel caso in cui accada. Il testo prevede pene durissime, fino all’ergastolo, per i medici che lo mettono in pratica. Si giunge a condizioni perfette per il ritorno agli anni bui degli aborti clandestini praticati in maniera impropria, da personale non qualificato o da professionisti che rischiavano vita e carriera. Una legge che quasi va contro il giuramento di Ippocrate, perché si dichiara pro life ma in realtà impedisce ai dottori di mantenere la promessa etica e professionale di aiutare e curare chi ne ha bisogno.
Gli accaniti conservatori si dicono mossi dalle leggi morali, dimenticando che la morale dipende dalla libera scelta dell’individuo, e non dalla legge che ne impone i canoni. E se anche dovessero trovare qualcosa di vagamente etico nel privare un essere umano della libertà di decidere, resta l’idea tipicamente medievale della morale sopra il bene comune, del singolo sopra la società.
Basti pensare alle teorie sociali che vedono nel calo della criminalità statunitense degli anni Novanta un collegamento con la legalizzazione dell’aborto del 1973. Tutti quei figli non desiderati, abbandonati o cresciuti senza possibilità economiche adeguate, che si sarebbero affidati all’illegalità per sopravvivere proprio nel periodo di fine adolescenza, in realtà non sono mai nati. Resta, però, che per quanto tale collegamento possa risultare fondato o meno, non è un buon motivo per sostenere l’aborto. La libertà lo è. E non solo la libertà di scegliere, ma la possibilità di liberarsi delle catene con cui l’umanità sessista ha sempre imprigionato le donne.
Un accanimento tanto incessante contro l’interruzione di gravidanza e contro la possibilità di scegliere, anche in caso di stupri e brutali violenze, non sembra troppo dissimile da un’idea conservatrice contro la contraccezione. In fondo, anche impedire che la vita abbia inizio, con rapporti non naturali e altrettanto innaturali barriere, a un’ideologia radicale, può sembrare omicidio. Anzi, fa quasi paura dirlo, perché la strada che si sta percorrendo sembra proprio quella. Quella di altri diritti negati, quella che vede le ore contate per i matrimoni omosessuali o per i figli fuori dal matrimonio. Quella della scandalosa inconcepibilità di una donna senza prole, che non adempie al suo sacrosanto compito di procreare.
Modernità, libertà, parità, tutte favole di un presente che si spaccia per evoluto ma che agisce con le stesse intenzioni medievali di esercitare controllo. Questioni che in realtà non hanno troppo a che fare con l’aborto in sé, ma che sono solo la punta emersa di un patriarcato radicato, lo stesso che consente l’esistenza degli stupri e l’idea di poter possedere un altro essere umano. Tante lotte che hanno fatto ottenere qualcosa, ma che in realtà non hanno risolto alcun problema, perché non tutte le ideologie ottuse sono state sconfitte. Finché la parità non entrerà nell’ordinaria mentalità di tutti, di certo non la si potrà definire mai tale.