La Seconda guerra mondiale ha visto nel cuore dell’Europa il teatro principale del conflitto. Tornando agli anni a cavallo tra il 1940 e il 1945, viene automatico pensare alla Germania nazista, all’Italia di Mussolini o alla Normandia, sul cui suolo sbarcarono le forze alleate. Tra i vari scenari non rientra, certo, la Lapponia, una delle regioni più a Nord del Vecchio Continente. Eppure, è proprio sul suolo della Finlandia, nel 1944, che fu combattuta una dura battaglia che costrinse migliaia di locali a emigrare, a guardare alla vicina Svezia, l’Occidente, come a una terra promessa di pace e abbondanza. È a loro che Rosa Liskom, scrittrice nativa di Ylitornio, dedica le pagine del suo ultimo romanzo, Al di là del fiume (Iperborea).
La protagonista è una giovane tredicenne che, assieme ad altri mandriani, marcia verso il Paese vicino con le sue bestie alla ricerca della propria madre, dispersa nel caos della fuga. Alla fame, al freddo, alla fatica, alla malattia che dilaga, alle umiliazioni subite nei campi svedesi, la ragazzina oppone il coraggio vitale della giovinezza, il suo continuo dialogare con l’amata natura fino a diventare tutt’uno con lei.
Con il suo stile diretto, Rosa Liskom racconta uno spaccato di esistenza non dissimile dai tanti che affollano i nostri libri di storia o le pagine dei quotidiani, eppure da noi così apparentemente distanti. Abbiamo incontrato l’autrice in occasione dell’ultima edizione del Salone del Libro di Torino.
Rosa, lei racconta di una guerra che non è diversa da quanto ancora oggi accade nel cuore dell’Europa. Quanto è difficile scrivere del tema mentre il mondo sembra sull’orlo di un nuovo conflitto?
«Da quando l’uomo abita questa terra ci sono state battaglie che sono diventate guerre. Questa guerra tra Ucraina e Russia non è la prima, non è l’unica sul pianeta, ed è terribile come tutte le altre, come quella in Sudan, in Afghanistan, ecc… Questo libro parla di guerra, è vero, ma il tema principale sono i rifugiati, in questo caso tra Finlandia, Svezia e Germania. Non trovo difficile scrivere di guerra, non sono coinvolta al fronte e neppure mi interessa parlare di prima linea. Mi importa, invece, delle famiglie, dei civili, delle persone normali e come vivono durante un tempo di guerra. Ricorda, quando insiste un conflitto sul tuo territorio, il fronte può essere vicino o lontano, ma la guerra coinvolge tutto, persone, natura, l’intero creato. La guerra è sempre una catastrofe, una tragedia, e dimostra come l’umanità non abbia imparato niente dal passato se ancora propone le stesse dinamiche, aspettandosi – chissà – una soluzione differente».
In Italia si parla tutti i giorni di rifugiati, siamo il Paese simbolo di tantissime migrazioni, così come siamo stati – purtroppo – protagonisti della Seconda guerra mondiale. Perché, dunque, non sappiamo molto del fronte più a nord del continente e dei tanti rifugiati che ci sono stati?
«Non credo sia importante conoscere cosa accadde in Finlandia o in maniera specifica di qualsiasi parte del mondo. Una guerra è una guerra ovunque, conta la gente. È la storia di milioni, miliardi di persone. Quindi, se non sappiamo di cosa accadde in Finlandia, o in qualsiasi altro piccolo paese del mondo, non importa. È uguale dappertutto. Se proprio vuoi saperlo, penso che in Italia ci siano stati problemi talmente grandi da non pensare certo alla Finlandia. Questo libro ora è tradotto un po’ in tutto il mondo, magari può essere l’occasione per voi di saperne qualcosa di più. L’Italia, come dici, è il Paese che accoglie più rifugiati nei propri hub, pensiamo a loro come gente senza nome, e io a queste persone intendo dar forma. La protagonista ha tredici anni, io le ho dato un volto che potrebbe essere quello di qualsiasi persona che arriva in Italia dall’Africa con il suo vissuto. Sono storie diverse e, in fondo, tutte uguali».
La mia prossima domanda riguarda proprio la protagonista: perché ha scelto di rappresentare una rifugiata così giovane?
«La protagonista è ispirata a una mia zia che aveva proprio tredici anni quando con la famiglia fu costretta a trasferirsi in Svezia. Tutte le persone nel libro sono ispirate a persone reali. Le giovani madri portavano con loro questi ragazzini e il bestiame verso la vicina Svezia; era una cosa, dunque, molto comune, una sorte che toccava a tanti».
Uno dei temi principali del libro è la ricerca della madre. Come mai?
«Perché tutti i bambini di allora che migravano con il bestiame rischiavano di perdere le loro madri, era normale. Le mamme si spostavano con questi bambini piccolissimi verso un nuovo campo e venivano separati. Mia zia stessa ha dovuto cercare sua madre».
Che sentimenti hanno ispirato o accompagnato Rosa Liskom durante la stesura di questo testo così diverso dal suo precedente lavoro?
«Il libro precedente, La moglie del colonnello, era denso di violenza, mentre qui non accade. In questo romanzo, la protagonista ha tredici anni, è curiosa verso il mondo, vuole sapere della natura, del cosmo, conoscere sempre di più. È stato davvero piacevole immergermi nella scrittura. Con La moglie del colonnello ho fatto molto fatica, ho dovuto raccontare tanta “merda”».
Nel libro scrive che, spostandosi, la sua protagonista scopre differenze che non pensava, anche negli animali, nelle stesse vacche che sono più grandi. Che cosa sta a significare?
«Non me lo ricordo». (Ride)
Allora, a proposito del rapporto con la natura, questo libro sembra voler affermare che nei momenti più duri è bene saper tornare alle origini, all’essenziale e dunque alla dimensione naturale. È così?
«Ho scritto questo libro pensando alla condizione del nostro pianeta, che è veramente orribile. Se pensiamo ai cambiamenti climatici, alla crisi del cibo, le carenze in termini di salute che tanti soffrono, vorrei che chi legge il libro si sentisse parte della natura e non occupante. Se impariamo a essere parte della natura, allora possiamo salvare il pianeta. Se invece continuano così saremo noi a morire, perché la Terra non morirà con noi, coprirà tutto, anche i nostri inutili palazzi».
Cosa c’è nel futuro di Rosa Liskom?
«Non posso dirtelo, lo sa solo il mio editore. Ti anticipo soltanto che il prossimo lavoro sarà ambientato negli Stati Uniti d’America».