Se pensate che per un operatore sanitario sia sicuro, nel 2023, andare a lavoro, vi rispondo di no. Il 2022, anno appena trascorso, è stato buio riguardo il fenomeno delle aggressioni nei confronti degli operatori sanitari. Un fenomeno di enorme portata.
Nella Città Metropolitana di Milano, da gennaio a maggio scorsi, si è registrato un aumento di aggressioni del 41%, con l’ASST (Azienda Socio-Sanitaria Territoriale) Rhodense in testa. Proprio alla fine dell’anno appena concluso, al Santobono di Napoli, avviene un episodio di violenza inaudita ai danni di un’infermiera del pronto soccorso che viene presa a calci dalla madre di una bambina spazientita dai lunghi tempi di attesa. Episodio che passa alle cronache. Il fenomeno delle denunce, da parte degli operatori sanitari, dilaga e si espande da Nord a Sud.
Il 2023 non inizia nel migliore dei modi. Adelaide Andriani, specializzanda di 28 anni, viene salvata per caso fortuito da una collega che distrae il suo aggressore. L’accompagnatore di un paziente tenta infatti di strangolarla durante il suo turno di lavoro presso la guardia medica dell’Ospedale Gervasutta, a Udine. Adelaide, dopo il trauma subito, afferma di voler abbandonare la professione e non è la sola, poiché il lavoro a diretto contatto con l’utenza è diventato sempre più usurante e pericoloso.
Le aggressioni (verbali e fisiche) durante l’attività lavorativa, in particolare nell’ambito sanitario, rappresentano una seria problematica, problematica che si riscontra maggiormente nei dipartimenti di emergenza e urgenza ed è in costante incremento. Le aggressioni subite, non solo a livello fisico, possono esitare in veri disturbi post-traumatici da stress e, nel migliore dei casi, alla propensione e al desiderio di cambiare sede e tipo di lavoro. Si tratta, oltretutto, di un fenomeno ancora molto sottostimato per la tendenza del dipendente a non denunciare tutti gli episodi.
Le aziende ospedaliere, per frenare il fenomeno, spesso propongono agli operatori corsi su strategie di comunicazione e counseling. Partiamo dal presupposto che in una relazione di aiuto la comunicazione è fondamentale ma, personalmente, mi chiedo se, invece di correggere o rendere più accomodante il comportamento di un operatore nei confronti della maleducazione dell’utenza, sia invece maggiormente importante correggere la problematica a monte. L’organizzazione di veri e propri corsi di autodifesa per personale sanitario, che ovviamente comportano un tipo di impegno extra-lavorativo, trovo che sia l’ennesima beffa nei confronti di una categoria di professionisti che svolge un lavoro usurante non riconosciuto come tale.
Escludendo soggetti quali pazienti psichiatrici, alcolisti e tossicodipendenti, si è stimato che il problema principale sia riconducibile al fenomeno del sovraffollamento e delle lunghe attese che esasperando il cittadino lo inducono a comportamenti aggressivi. È dunque necessario prevenire le aggressioni eliminando le condizioni che le favoriscono, in particolare attraverso l’avvio di iniziative volte alla prevenzione delle malattie nella popolazione a rischio, al potenziamento dei servizi sanitari territoriali e al potenziamento dell’organico nei dipartimenti di emergenza e urgenza.
Tecnicamente, il sovraffollamento si verifica quando il numero di pazienti in attesa di essere visitati, quelli in corso di valutazione o di trattamento e quelli in attesa di collocamento appropriato, eccede la disponibilità di letti e/o le capacità operative del personale in servizio, limitando seriamente le funzioni del Pronto Soccorso. Molti cittadini accedono al PS in modo inappropriato: per saltare le liste di attesa ambulatoriali; per evitare di pagare il ticket; per scarsa conoscenza delle possibili alternative di assistenza; per una presa in carico inadeguata da parte della medicina territoriale.
A complicare ulteriormente le cose, si è aggiunta la riduzione dei posti letto in ospedale che ha comportato una sempre maggiore difficoltà a ricoverare i pazienti nei reparti con il conseguente prolungato stazionamento degli stessi in PS. Molte Regioni hanno infatti ridotto i posti letto senza porre le basi per il potenziamento dell’assistenza territoriale, senza la quale la riorganizzazione degli ospedali non è sufficiente. Pensiamo agli ospedali per intensità di cura. Tutte le falle di questo sistema si sono palesate durante la pandemia, ma a oggi possiamo dire che la situazione, invece di migliorare, sta peggiorando e i dati preoccupanti, compresi quelli sulle aggressioni, lo dimostrano. Assieme a quelli sull’abbandono della professione.
In media, le aggressioni sul posto di lavoro colpiscono in un anno un terzo dei professionisti sanitari, ovvero circa 130mila casi, con un “sommerso” non denunciato all’INAIL di circa 125mila casi ogni dodici mesi. Un dato che desta ulteriore apprensione è che il 75% delle aggressioni riguarda donne. Se, nella mia carriera, mi sia mai capitato di ricevere minacce verbali o fisiche? Sì. E questa risposta, da qualsiasi persona che svolge il mio lavoro, è la più frequente che vi sentirete dare.