Affaire mascherine è un lungo excursus su tutto quello che è ruotato, negli anni della pandemia e tuttora ruota, attorno a questi dispositivi. Vi consiglio di leggere la prima parte (che potete recuperare qui) ma, se non lo avete ancora fatto, siamo rimasti al punto in cui, durante il periodo di forte criticità, noi operatori sanitari utilizzavamo mascherine di dubbia provenienza.
Non è stato etico, mentre salvavamo vite con dispositivi non idonei, il comportamento delle imprese italiane intermediarie che hanno percepito commissioni per decine di milioni di euro. Tra questi spiccano le personalità di Mario Benotti (ex giornalista RAI indagato per traffico di influenze illecite) e Andrea Tommasi (titolare della Sunsky SRL). Persone desiderose di speculare sulla pandemia alle quali Domenico Arcuri si affidò. La Sunsky di Tommasi pare aver incassato circa 59 milioni. Alla Microproduct SRL sarebbero andati altri 12 milioni, circa. Tutto accade nel picco della pandemia quando Arcuri, alla disperata ricerca di presidi sanitari, acquista complessivamente 801 milioni circa di mascherine. Forniture, pare, intermediate illecitamente da Mario Benotti.
Assistiamo a numerose truffe da nord a sud della penisola. Truffe che ricalcano l’atteggiamento tipicamente umano di poter lucrare sulla disgrazia.
L’assessore in Calabria Marcello Minenna, ex dirigente dell’Agenzia delle Dogane, è coinvolto nell’ambito dell’indagine di una truffa milionaria sulle mascherine. AUSL Romagna paga Gianluca Pini, ex parlamentare, e la sua società Codice di cui Pini amministra attività di import/export. AUSL Romagna cerca in maniera disperata i dpi e il 16 marzo 2020 stipula l’accordo con Pini. Un appalto da 6 milioni di euro. Arrivano, complessivamente, oltre 4 milioni di protezioni. Nell’inchiesta emerge che Pini dialoga con un interlocutore in Oriente istruendolo sulle certificazioni necessarie. In primis sui requisiti sanitari richiesti dalle ASL e, in secondo luogo, su quelli per il vaglio della Dogana (qua entra in gioco la figura di Minenna).
I pm di Forlì ipotizzano che tra Minenna e Pini ci sia stato un patto. L’ex deputato promette a Minenna di accreditarlo all’interno della Lega e gli promette la conferma della nomina a Dg dell’Agenzia delle Dogane a seguito del cambio del governo. Nomina che, effettivamente, ottiene. Minenna accetta le promesse in cambio dell’asservimento della sua funzione pubblica, in particolare alle richieste di Pini in occasione di importazione di merci. Fra queste merci, proprio le mascherine al centro dell’inchiesta. Attualmente il tribunale di Bologna ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare per Marcello Minenna che ricopre la carica di Assessore.
In tutto questo, AUSL non si accorge di niente?
Dalle indagini emerge che dati i tempi “molto stretti” e la “necessità impellente dei presiti”, l’azienda sanitaria non riesce a evitare la truffa. Pini, dal suo canto, si difende dicendo che la documentazione delle mascherine è accertata dalla stessa ASL.
Per la legge il datore di lavoro ha, tra i molti, l’obbligo di prestare attenzione a qual è il livello e il tipo di rischio presente in azienda per scegliere dpi adeguati alle condizioni esistenti nell’impresa. Deve tenere conto delle esigenze del singolo lavoratore e dell’attività che svolge. Assicurarsi che i dpi ordinati siano certificati ed efficaci e che rientrino nelle categorie necessarie. Una volta individuati, deve fare in modo che gli impiegati ricevano la corretta formazione circa il loro utilizzo.
Che cosa succede quindi in linea di massima?
Alcune aziende, tramite mendaci dichiarazioni presentate alla dogana, importano dalla Cina le mascherine non conformi e, successivamente, le rivendono con certificazioni di conformità contraffatte, attestando fittizie caratteristiche di filtraggio a farmacie, aziende ed enti pubblici. I dispositivi sono commercializzati con falsa certificazione CE senza che i titolari delle imprese indagate ottengano le eventuali deroghe previste dal Decreto Cura Italia.
Cura Italia contempla la possibilità per i produttori, gli importatori e per tutti coloro che immettono in commercio dispositivi di protezione individuale e dispositivi medici di avvalersi di un’autocertificazione. Autocertificazione rilasciata rispettivamente all’INAIL e all’Istituto Superiore di Sanità per la validazione dei prodotti garantendo, contestualmente, la protezione agli utilizzatori. Deroga che, nel caso di specie, viene fraudolentemente aggirata dalle imprese. Imprese che hanno provveduto a commercializzare i dispositivi prima che l’INAIL o l’Istituto Superiore di Sanità forniscano una risposta, magari negativa, sulla validazione dei prodotti. Su numerosi dispositivi contraffatti figurano un marchio e un numero di identificazione dell’ente di produzione. Il logo somiglia a quello CE ma sta per China Exportation.
Vien da sé che è un grave problema se si pensa che le mascherine, apparentemente certificate, finiscono per essere utilizzate negli ospedali o, comunque, da soggetti che decidono di acquistarle nella convinzione di proteggersi, quasi totalmente, dal virus. Continuo a ripeterlo, ma avevamo talmente bisogno di dpi da accettare di tutto. E mentre ci veniva fornito, come emerso dalle indagini, del materiale di serie b, gli imprenditori si arricchivano e gli operatori sanitari si ammalavano.
Altra inchiesta, condotta dalla Corte dei Conti, riguarda il Presidente del Lazio Nicola Zingaretti e il responsabile regionale della Protezione Civile Carmelo Tulumello. Si acquistano milioni di mascherine da una ditta di Frascati, Ecotech. I contratti sono pagati in anticipo ma mai rispettati in quanto le mascherine non vengono consegnate o solo in parte. I 9,5 milioni di mascherine acquistati dalla Regione Lazio non sono stati mai consegnati. La Regione Lazio ha ricevuto la restituzione di 1 milioni e 746mila euro, pari a una parte dell’anticipo versato dalla Protezione Civile laziale per l’acquisto dei dispositivi.
La posizione della Regione Lazio viene archiviata in quanto, dall’esame delle deduzioni sull’operato dell’amministrazione, improntato a fronteggiare criticità di estrema gravità, rispetto alle quali si è data preminenza alla tutela della salute pubblica, l’Autorità non ravvisa ulteriori margini di intervento della vigilanza.
L’operazione Giù la maschera, condotta dal Comando provinciale di Roma, vede la European Network TLC SRL coinvolta per ipotesi di truffa su fornitura di dpi per l’emergenza. Si tratta della fornitura di 5 milioni di mascherine FFP2 e 430mila camici, venduti alla Regione nella prima fase dell’emergenza sanitaria (marzo ed aprile 2020). Questo per un prezzo complessivo di circa 22 milioni di euro. L’imprenditore Vittorio Farina parla, intercettato, con l’editore Andelko Aleksic, entrambi indagati per truffa in pubbliche forniture avendo venduto mascherine con certificazione falsa. L’impresa avrebbe fornito documenti rilasciati da enti non rientranti tra gli organismi deputati a rilasciare la specifica attestazione e prodotto falsi certificati di conformità. Modus operandi già descritto.
Sfruttando le opportunità fornite dalla legislazione emergenziale adottata, approfittando del momento di estrema difficoltà in cui versava il Paese che stava affrontando una epidemia incontrollata. Gli indagati non hanno esitato a cercare di lucrare, acquisire facili guadagni favoriti dalla sostanziale impossibilità di controllo da parte del committente sulla qualità della merce che veniva fornita come dispositivo di protezione: queste le parole del gip di Roma nell’ordinanza che dispone gli arresti domiciliari per i tre arrestati. Andelko Aleksic, Vittorio Farina e Domenico Romeo. L’impresa milanese facente capo ad Aleksic, che fino al mese di marzo 2020 era attiva soltanto nel settore dell’editoria, ha dapprima fornito documenti rilasciati da enti non rientranti tra gli organismi deputati per rilasciare la specifica attestazione e successivamente, per superare le criticità emerse durante le procedure di sdoganamento della merce proveniente dalla Cina, produce certificati di conformità, forniti da Romeo.
Sulla falsa riga delle precedenti, Reggio Emilia vede l’operazione The mask condotta su un appalto di 5,6 milioni di euro per la fornitura di mascherine affidato in forma diretta dall’AUSL reggiana, durante la pandemia nel marzo 2020. Ai domiciliari gli imprenditori Lorenzo Scarfone e Paolo Paris, trentino. Gli indagati, per i giudici, hanno mostrato spregiudicatezza nell’approfittare di una drammatica emergenza sanitaria per lucrare in un delicato settore di affari relativo alla salute pubblica, trovando sponde interne all’ente pubblico, e senza timori per la salute di quanti avrebbero potuto indossare le mascherine.
I due imprenditori sono accusati di truffa aggravata all’AUSL e ai danni dello Stato, nonché di frode nelle pubbliche forniture. Secondo le accuse avrebbero falsificato le etichette CE da applicare sulle scatole di mascherine importate dalla Cina. Alle ipotesi di reato si aggiunge anche l’accusa di auto-riciclaggio per il presunto profitto illecito delle mascherine importate. Auto-riciclaggio che sarebbe stato reimpiegato con operazioni bancarie per ulteriori acquisti di altri dispositivi medicali.
Il bilancio della polizia postale, nel 2020, arriva a quota 98mila casi di truffe online. In particolare, episodi relativi a vendita di dpi, mascherine, guanti, liquidi igienizzanti attraverso proliferazione di e-commerce. Aziende fantasma dichiarano di avere la disponibilità di prodotti, chiedendo pagamenti anticipati tramite bonifico bancario. La merce, ovviamente, non viene mai consegnata. L’emergenza sanitaria, causata dal diffondersi del coronavirus, e la scarsa disponibilità di offerta al pubblico di dispositivi di protezione individuale generano forti speculazioni.
Capiamo che l’esigenza di reperire, in tempi brevi, beni divenuti preziosi viene colta da truffatori di ogni tipo per ottenere profitti illeciti sfruttando la disperazione e il bisogno dei clienti. Un filone balza all’occhio, accomunando tutte le inchieste: la leggerezza con la quale gli enti pubblici e le ASL si sono affidate ai truffatori.
La mia considerazione in merito è questa. Poiché la pandemia ha messo seriamente a rischio le cure e il futuro del SSN, con conseguente riduzione dei servizi sanitari, bisogna recuperare gli sprechi dovuti alla disattenzione delle autorità. Perché questa tipologia di truffe non solo ha ucciso gli operatori sanitari durante le fasi acute della pandemia ma ucciderà tutte le vittime dei prossimi tagli dei servizi. Inaccettabile la mancanza di coordinamento, equità e il non utilizzo appropriato degli strumenti a disposizione.