Lo chiameremo Affaire mascherine e sarà un lungo excursus su tutto quello che è ruotato, negli anni della pandemia e tuttora ruota, attorno a questi dispositivi. Oggi è ancora possibile trovare chi non ha compreso l’utilità di una mascherina o il suo corretto utilizzo. Eppure, nel periodo pandemico, questi strumenti sono stati un mezzo di tutela indispensabile per alcune categorie di lavoratori e per la popolazione tutta ma, anche, vere e proprie miniere d’oro per i truffatori.
Uno dei problemi principali è stato, tra i vari, la mancanza di uniformità delle raccomandazioni per l’uso delle maschere facciali. Mentre i paesi asiatici hanno iniziato a usarle all’inizio dell’epidemia, la maggior parte dei paesi occidentali è stata ben più lenta. Ma facciamo un salto nel passato.
Che cosa succede nel 2020? La situazione, vissuta in prima persona, ha visto ospedali sotto pressione e personale medico e infermieristico costretto a super lavoro. Tutto ciò, contornato dalla grave carenza di presidi.
Già il 13 febbraio, Lancet pubblicava Protecting health-care workers from subclinical coronavirus infection – Proteggere gli operatori sanitari dall’infezione sub clinica di coronavirus. Gli autori paventavano il rischio dei contagi tra gli operatori sanitari portando come esempi varie epidemie nel mondo. I risultati invitavano infatti a misure di protezione aggressive (occhiali, maschere FFP2 e camici idrorepellenti) per garantire la sicurezza di tutto il personale durante la presenza di un focolaio di epidemia da COVID-19 o future epidemie, soprattutto nelle fasi iniziali. Gli operatori sanitari affrontano elevato rischio di esposizione alle malattie infettive ed è imperativo garantirne la protezione non soltanto per la salvaguardia della cura continua del paziente ma per assicurarsi che non trasmettano il virus.
Si parla, in questi casi, di maschere FFP2 e FFP3. Tengo a specificarlo perché in una prima fase pandemica viene fatta estrema confusione. Quelle chirurgiche – è giusto ribadirlo – non servono a proteggere gli operatori sanitari dal COVID-19. Nel discorso generale, bisogna pertanto distinguere le popolazioni tra lavoratori della sanità ad alto rischio di contatto e popolazioni a medio e/o basso rischio.
Osservando l’andamento del virus, a Wuhan, si conferma che per le strutture ospedaliere e per gli operatori a contatto diretto sono necessarie misure di protezione aggressive. Questi dispositivi, tuttavia, non ci sono nonostante la Cina segnali all’Organizzazione Mondiale della Sanità un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota a Hubei il 31 dicembre 2019.
La comunicazione sanitaria sul tema è parecchio confusa e non solo sulle fonti non ufficiali. L’Istituto Superiore di Sanità elimina dal suo portale le linee guida OMS sulle mascherine chirurgiche che non sono in linea con aggiornamenti ECDC e CDC. Uscirà, successivamente, il 5 giugno 2020, Advice on the use of masks in the context of COVID-19. Questo alla luce delle nuove prove sulla trasmissione del coronavirus. Personalmente, ricordo bene il sentimento di frustrazione quando all’epoca ci venivano fornite mascherine chirurgiche, ben sapendo che non servissero allo scopo di proteggersi realmente. La decisione dell’ISS alleggerì, non poco, il nostro stato d’animo.
In Regione Toscana, nel marzo 2020, vengono propinate come scoperta del secolo le cosiddette “nuove mascherine tessuto non tessuto”: peccato che non vadano per bene per gli operatori sanitari. Quel “tessuto speciale” e/o tessuto non tessuto non è infatti altro che una sorta di mascherina chirurgica. L’atteggiamento è quello di fornire, consapevolmente, dispositivi inefficaci per la protezione degli operatori: questi, di colore bianco, non aderiscono ai lati del viso poiché aperti sui bordi, ma l’adesione del presidio al volto è un parametro importantissimo per ciò che concerne il contenimento della trasmissione del virus.
È utile, difatti, fare una distinzione delle mascherine in dpi, dispositivi di protezione individuale, e dispositivi medici o maschere medicali. I dpi in commercio di qualunque tipo o categoria devono presentare la marcatura CE. Nel caso specifico, il tipo di maschere filtranti richieste per evitare il contagio da coronavirus è regolato dalla norma europea UNI EN 149:2009 che, a seconda dell’efficienza filtrante, classifica le mascherine in FFP1, FFP2, FFP3 dove FFO significa Filtering Facepiece Particles (facciale filtrante contro le particelle). Le FFP2 o FFP3 hanno rispettivamente efficienza filtrante del 92% e del 98%. Le FFP1 con il 78% sono insufficienti per proteggere dal virus. Loro caratteristica è quella di non diffondere agenti biologici pericolosi nell’atmosfera circostante. Evitano, infatti, che il portatore diffonda il contagio ma non proteggono lo stesso adeguatamente dall’infezione di provenienza altrui. Possono essere indossate anche da pazienti infetti.
Mettendo un punto sul fatto che fossero (e siano) necessarie FFP2 e FFP3 per proteggere gli operatori sanitari, la vera domanda all’epoca era: dove trovarle? In quei primi mesi muoiono circa 60-80 medici al mese e metà dei decessi riguarda il territorio, dove i medici di famiglia si trovano abbandonati e senza dispositivi idonei. Un tentativo del Governo è quello di procedere con l’aumento della produzione di mascherine da aziende italiane previa validazione dell’ISS. Purtroppo, il fabbisogno resta sempre troppo elevato.
Assistiamo, così, alla corsa all’acquisto online con prezzi lievitati, oltre a tempi di consegna molto lunghi. A inizio aprile 2020 ci si poteva imbattere in mascherine chirurgiche vendute sino al 1200% in più rispetto al prezzo ufficiale. Per far fronte a questa problematica l’allora commissario per l’emergenza Domenico Arcuri firma l’ordinanza n.11/2020 per fissare i prezzi massimi di vendita al consumo delle mascherine facciali di 50 centesimi (le chirurgiche erano vendute, fino a quel momento, a cifre che variavano dai 2,50 euro ai 6 euro).
Per i veri e propri dispositivi di protezione, specialmente maschere FFP3, la disponibilità risulta inesistente. Capiamo bene quanto questi elementi aumentino il rischio di incorrere nell’acquisto di prodotti contraffatti, non conformi alla marcatura CE o non a norma. E ciò, difatti, avviene.
Ci siamo imbattuti, durante la ricerca disperata di dpi, in mascherine N95 e KN95 comparabili, sotto il punto di vista dell’efficacia filtrante, a FFP2. Tuttavia, la procedura che attesta l’efficacia filtrante cambia in base al luogo di produzione delle stesse e segue le norme di certificazione stabilite dal paese dove viene testato il corretto funzionamento dei dispositivi. La normativa per le N95, ad esempio, è americana ed è la NIOSH-42CFR84. Nello specifico, è definita dal NIOSH (National Insitute for Occuptional and Safety Health), ente americano preposto alla certificazione. Le mascherine KN95, invece, sono certificate nella Repubblica Popolare Cinese, in base agli standard imposti dal regolamento GB2626-2006. Quello che cambia sono le modalità adottate per testare i dispositivi.
Lo standard europeo adotta le sostanze liquide nei test, oltre alle solide. Il sistema di certificazione appare dunque più approfondito visto che impone il test anche con olio di paraffina. La normativa comunitaria obbliga, infatti, l’uso di un liquido per verificarne la reale efficacia filtrante. Questo depone a vantaggio dei test che si occupano non solo di valutare l’efficacia delle mascherine rispetto ai particolati inquinanti allo stato solido (tipo polvere) ma anche e soprattutto dei particolati sotto forma di droplets e aereosol, diffusi per via aerea. Lo standard europeo è più attento alla resistenza all’inspirazione, la cui soglia media risulta più bassa rispetto a quelle stabilite dal sistema di certificazione americano e cinese. Questo garantisce maggiore comodità e durata.
Vi assicuro che quando respirate dentro una FFP3, per ore, in piena attività lavorativa con addosso altri dpi, il comfort del presidio è essenziale. Non dimentichiamo, inoltre, che la durata di una mascherina FFP2 si aggira attorno alle otto ore e quel periodo di utilizzo, da parte degli operatori sanitari, viene ampiamente superato data l’impossibilità di cambiare il presidio poiché in numero limitato.
Alla luce di questo la domanda è: fu facile, nel periodo della prima ondata pandemica, avere dpi nella giusta quantità e con il marchio CE? La risposta è no. È fatto accertato che in Italia sono arrivati diversi lotti di mascherine non conformi agli standard di sicurezza. All’aprile 2021 risultano 250 milioni i dispositivi importati dalla Cina non corrispondenti agli standard di sicurezza europei e con capacità filtrante dieci volte inferiore rispetto a quella dichiarata in fase di produzione e consegna. Nei primi sette mesi della pandemia vengono distribuiti in tutta Italia e in maniera specifica a medici, infermieri, OSS, ospiti delle RSA e pazienti degli ospedali.
Dispositivi non idonei vengono acquistati dalla struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri e hanno validazione da parte del CTS. Solo da luglio 2020 tutti gli acquisti dall’estero dei dpi vengono azzerati. Dalle direzioni generali regionali partono le circolari che chiedono alle ASL e agli enti pubblici e privati sanitari di verificare se siano ancora presenti negli stock dei dispositivi appartenenti a lotti specifici con l’obbligo di bloccarne l’utilizzo.
Capiamo bene che questo non elimina i danni che tali presidi possono aver arrecato sia al personale medico e infermieristico che ai pazienti sino al momento del loro ritiro. Da operatrice sanitaria, essendo a tutti gli effetti parte lesa di questa vicenda, aggiungo che in quei momenti di concitazione non sarebbe stato possibile, da parte nostra, riconoscere i dispositivi contraffatti. Come assetati nel deserto, FFFP2 e FFP3 erano la nostra acqua. Ricordo bene la sensazione di quando scarseggiavano i dpi e dovevamo entrare nei reparti per prenderci necessariamente cura degli assistiti. L’alternativa? Eticamente impensabile. [continua]
Qualche fonte
Mascherine nel COVID-19: smascheriamo le prove – PubMed (nih.gov)
rapporto-covid-19-2-2020.pdf (iss.it
Advice on the use of masks in the context of COVID-19: interim guidance, 6 April 2020 (who.int)