Se siete dei cupi direttori in giacca e cravatta, questo libro non fa per voi. Se odiate le sorprese, le buffe trovate linguistiche e le avventure rocambolesche, questo libro non fa per voi. Se amate le regole, la routine, e vi ritenete persone serie e importanti, questo libro non fa per voi. O forse, invece, fa proprio per voi. Perché potrebbe farvi bene. Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino – scritto da Davide Rigiani, edito da minimum fax – è un romanzo delicato e bizzarro, spassoso e sincero, come solo un bambino può essere. In un girotondo di bruchi giganti, banchieri elvetici, piante carnivore e vicevicedirettori, Rigiani dà forma a un Canton Ticino in cui chi ha la testa troppo sulle spalle è in malafede e i buoni sono gli strampalati.
Tullio Ghiringhelli fa la quinta elementare, ha un’immaginazione gigante e il tre periodico alle verifiche. Vive nel Canton Ticino, anche se il suo mondo è fatto di alieni, mostri, cavalieri e frigoriferi parlanti. È un bambino dolce, timido, che vorrebbe passare la sua vita inosservato. Ma quando adotti un eolao – o, meglio, quando un eolao adotta te – questo desiderio diventa impossibile. Manifestatosi come piccolo bruco nell’insalata e poi come gigante bruco in giardino, l’eolao è una creatura fantastica, attratta dall’immaginazione di Tullio e dalla sua famiglia bislacca. Cambia aspetto di continuo, odia i luoghi comuni e le banalità, ama le cose bizzarre e impreviste e, se non ce ne sono in giro, le fa accadere.
È così che viene sconvolto un pranzo di Natale. Il canto dell’eolao tramuta ogni parola di circostanza in una buffa lingua senza senso; una vecchietta ciarliera e abitudinaria si mette a tagliuzzare gnomi, leoni, draghi e assurde creature nelle sue siepi; metafore e modi di dire si tramutano in realtà. L’eolao dirotta la realtà per portarla su sentieri fantastici, trasforma la mente dura e atrofizzata degli adulti in un ricettacolo di stramberie e assurdità – che lo vogliano o meno. Un mondo più a misura del Tullio, che ha il cervello pieno di fate, streghe e rane parlanti. Eppure, su alcuni soggetti, neanche l’eolao riesce ad avere influenza. Una fra tutti, la supplente d’italiano. Una donna ordinata, precisa, che piomba nella vita di Tullio stravolgendola con le sue regole soffocanti. Nei temi? Niente bugie o cose inventate. Siete adulti oramai. Niente bacchette magiche, viaggi nel tempo, automobili che volano, uomini piovra, rospi che cantano.
Il cervello della supplente, Ornella Robbiani, è stato sostituito da ben tre milioni e quattrocentocinquantamila settecento e quarantatré regole. Ciò velocizza il disbrigo dei ragionamenti e fa della Robbiani un essere umano straordinariamente performante. Infatti, la supplente da giovane ha preso delle decisioni una volta e per tutte, proprio per non doverci pensare mai più. Ora, nella sua testa automatizzata le eventualità venivano smistate senza passione dall’enorme complesso delle regole, come palline di ferro sui binari del flipper più complicatissimo del mondo. Ciò la sollevava dalla necessità di dover valutare personalmente le circostanze della vita, e le rimaneva più tempo libero per stabilire nuove regole. Una donna robot, ormai persa in un labirinto di granito.
Questa cosa dell’essere adulti comincia a tormentare Tullio. La sua immaginazione, così viva e irrazionale, si trova a fare i conti con ansie e paure. Quando guarda nel suo futuro, Tullio inizia a vedere un omino fallito, stanco, terrorizzato dalla vita stessa. La possibile bocciatura diventa un macigno, e allora si devono prendere le necessarie contromisure. È così che, nella fantasia del bambino, il mostro sotto al letto si reinventa piastrellista tapparellista, il frigorifero parlante diventa life coach, e lo gnomo da giardino un tirannico datore di lavoro. I cavalieri si spogliano delle armature e diventano piccoli ragionieri occhialuti, mentre le streghe, reintrate da turni di dodici ore come hostess, sprofondano nel divano mangiando pizza scongelata. Una malinconia enorme invade queste pagine, che ancora non mi levo da dosso.
Lo stesso Tullio, pur di superare l’anno e accontentare la supplente, si sdoppia. Sì, avete capito bene: il suo spirito viene sparato fuori dal corpo, che resta lì svuotato sulla Terra. E mentre lo spirito di Tullio va a zonzo, cantando e ballando, il corpo rimane a studiare meccanicamente. Diventa un perfetto contenitore vuoto, da riempire con nozioni e dati matematici. L’eolao si rende conto che quello non è più davvero Tullio, che quelle carezze robotiche e assenti non sono realmente le sue, e smette di seguirlo dappertutto. Si ride tanto, in questo libro, e si piange altrettanto. Io ho pianto, perché proprio in quei giorni il mio compagno stava facendo un tour de force di colloqui aziendali. E, una volta, poco dopo aver spento la webcam, mi ha detto che si sentiva diviso a metà. La parte vera – quella disallineata con il mondo codificato – era schiacciata da un’altra, che stava lì a sorridere e a rispondere all’ennesimo dove ti vedi tra cinque anni con una menzogna.
È un qualcosa che ho provato anch’io, tante volte, proprio a scuola. Mi chiamavano la Divina Indifferenza perché non reagivo ad alcun rimprovero o incentivo. La verità è che io ero altrove, non lì, ad annuire di fronte a noiose spiegazioni di matematica. Mi ero sdoppiata, un po’ per sopravvivere, un po’ per superare l’anno, proprio come Tullio. Per essere produttivi, efficienti, e vincere in questo mondo, dobbiamo sacrificare una parte di noi. Quella folle, leggera, quella libera. Nei temi d’italiano, anch’io ho smesso di scrivere cose che mi piacevano davvero – quelle, sempre, venivano considerate fuori traccia. E finivano con una bella insufficienza sul foglio. Bisogna seguire le regole per ottenere un bel voto, un buon posto di lavoro, una vita agiata e sicura. Mai, mai essere fuori traccia.
E, così, molti di noi girano spenti. Gli uffici sono pieni di involucri vuoti e, purtroppo, lo sono anche le classi delle elementari. La scintilla che avevano all’inizio si è affievolita, è stata strapazzata e strizzata, e ora ne rimane solo una fioca lucina. Quello che ci vuole, per tutti loro, per tutti noi, è un eolao. Un qualcosa, o un qualcuno, che ci scombini l’esistenza. Che ci ricordi cosa abbiamo perso e cosa potremmo ritrovare. Una passione strana, magari per le siepi a forma di gnomi o per gli origami. Un amico – o un amore – buffo e strambo abbastanza da farci perdere la testa. Delle piccole rivincite sulla routine, come quelle che il papà di Tullio compie mentre traduce manuali d’istruzione. Lì, tra descrizioni di bulloni e avvitamenti, il signor Ghiringhelli inserisce rime e quartine, perché la poesia è ciò che lo rende felice.
È la frustrante storia di chiunque di noi cerchi di coniugare – fallendo – le proprie passioni con il lavoro. Eppure, in questa immagine c’è anche un qualcosa di bello. Perché, anche se finisce spesso con il non essere pagato, il signor Ghiringhelli alla sua stramberia non ha rinunciato per niente. E non ci rinuncerà neanche Tullio, state tranquilli. E sapete perché? Perché questo libro è proprio un eolao, di nome e di fatto. È stato, per me, quel qualcosa in grado di riaccendere la miccia. La sua allegria mi ha riportato ai tempi in cui la mia scintilla era un fuoco alimentato da stranezze e assurdità. Per chiunque si chieda a chi questo libro sia diretto, se ai ragazzi o agli adulti, rispondo: a entrambi. Perché annulla proprio lo sdoppiamento al quale siamo costretti quando cresciamo.
Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, con leggerezza, ci obbliga a tornare uniti. Ci impone una letteratura che è – citando minimum fax – allegra sarabanda, ma non per questo superficiale. Adottate anche voi un eolao, non strombazzatelo.