Nel 2000, Beppe Grillo sfonda i computer con un martello gigante. È esattamente così che il comico conclude ogni show della sua stand-up. Comincia ad accanirsi contro lo schermo, poi urla al suo pubblico: «Chi è che vuole romperlo? Chi è che vuole sfogarsi? Chi è che non ce la fa più?», passando il martello a chiunque salga sul palco. Grida, aizza gli spettatori contro quell’aggeggio demoniaco, fino alla sua completa distruzione. Nel 2005, lo stesso Grillo lancia beppegrillo.it, uno dei blog più influenti e visitati al mondo.
Nel 2015, assieme alla Casaleggio Associati, crea la piattaforma Rousseau, rendendo il MoVimento 5 Stelle il primo cyber party italiano. La sorprendente conversione digitale del comico è opera di Gianroberto Casaleggio, tecno-guru esperto in strategie di marketing online, profeta del potere rivoluzionario della rete. Tra i due il colpo di fulmine è immediato e porta la coppia a sviluppare una visione: quella di un non-partito, un movimento senza corpi intermedi e organismi di controllo in cui tutti i membri possono governare e orientare il movimento grazie a internet. Una democrazia diretta digitale, immediata, trasparente, vicina ai cittadini, governata da un solo agente: la rete.
Il discorso tecno-utopista e cyber-liberale non è nuovo. La nascita stessa della cibernetica è stata caratterizzata dalla visione di una società 2.0: utopica, orizzontale e libera. I primi hacker non erano altro che anarchici, uomini che reclamavano uno spazio libero da ogni potere sovrano. Il pensiero occidentale moderno è impregnato della narrazione mitologica del digitale, strumento capace di trascendere il tempo, lo spazio e il potere. Dopotutto, il mito ha un ruolo fondamentale nella società: quello di creare una visione. E le visioni sono potenti. Offrono una fuga dal banale, un varco verso una nuova realtà, il superamento di ogni contrasto. In una situazione di sfiducia verso una classe politica corrotta e incapace, di disillusione verso lo Stato e le istituzioni, offrire il mito di internet onnipotente significa offrire una speranza. Così nascono i primi partiti digitali: i Partiti Pirata dell’Europa del Nord, Podemos in Spagna e il MoVimento 5 Stelle in Italia.
Il M5S mangia pane e software sin dall’inizio. Si organizza tramite Meetup, viene richiamato nelle piazze del V-Day dalla sirena del blog di Grillo e pende dalle labbra di Casaleggio. Subito acclama Rousseau, piattaforma virtuale di democrazia partecipata e di cittadinanza attiva, proprietà dell’associazione omonima, guidata da Davide Casaleggio. Grillo decide di non affidarsi a software open source generici (come LiquidFeedback, già rodata con successo dai Partiti Pirata) ma a uno spazio programmato ad hoc dalla Casaleggio Associati. La piattaforma consente il voto agli iscritti al MoVimento sulle questioni politiche più importanti, sulle proposte dei portavoce, sulla selezione dei candidati e dà la possibilità di proporre disegni di legge. A essa, si affianca il Blog delle Stelle, canale di comunicazione ufficiale del MoVimento e della stessa Associazione Rousseau, che gestisce materialmente il sito.
Nonostante le promesse di orizzontalità e democraticità del partito, la piattaforma assume presto un ruolo ambivalente. Primo problema, il voto vincolante. I leader hanno la possibilità di controllare modalità e durata del voto, il testo del quesito e l’oggetto delle consultazioni, usandoli strategicamente. Ogni volta che una consultazione risulta potenzialmente controversa (eutanasia, unioni civili, immigrazione), Rousseau non riporta mai link di punti di vista alternativi. Anzi, le votazioni sono quasi sempre anticipate da un post sul blog di Grillo che introduce la questione e indirizza l’esito della deliberazione, quando non è addirittura lui stesso o gli esponenti più popolari del movimento a indicare agli iscritti quale sia la scelta “giusta”. La situazione è lampante nelle consultazioni del 2013 e 2014 relative all’espulsione dei dissidenti. In tutti e tre i casi, mentre le ragioni per l’espulsione sono esposte in bella vista su beppegrillo.it, il punto di vista dei dissenzienti è 404, page not found.
Secondo problema: l’interazione diretta tra portavoce e iscritti. Solo tre aree della piattaforma (Lex Europa, Lex Parlamento e Lex Regioni) danno la possibilità agli utenti di lasciare feedback, ma solo ed esclusivamente sotto i post dei portavoce. Il dibattito tra iscritti non è contemplato e i portavoce restano liberi di adottare i “commenti più utili” senza dare spiegazioni logiche sulle scelte fatte. Terzo problema: la mancanza di strumenti deliberativi in Lex Iscritti, l’area di legislazione diretta. Qui i membri possono caricare una proposta per un disegno di legge e votare le altre proposte, ma non dibattere collettivamente o proporre modifiche. Alla faccia della collaborazione. Un flusso continuo di proposte continuava ad accatastarsi in Lex Iscritti, mentre i post di Grillo e dei portavoce ottengono sempre il più alto livello di visibilità e rilevanza.
Purtroppo, il MoVimento non è la mela marcia. In gran parte dei partiti digitali è stata evidenziata la stessa tendenza: l’uso del tecno-feticismo per legittimare e consolidare una struttura gerarchica, calata dall’alto e autoritaria. La retorica dell’orizzontalità del partito, della spontaneità e della mancanza di leadership è stata usata spesso per mascherare e facilitare pratiche centralizzate e strategie professionali di marketing, indirizzate a un unico scopo: l’accentramento del potere nelle mani dell’hyperleader. Iglesias, Grillo, Macron, Farage: uomini carismatici, onnipresenti sui social, che usano la rete come Berlusconi usava la televisione.
Invece di una democrazia partecipativa, le piattaforme hanno creato una democrazia reattiva: una superbase iperattiva che legittima dal basso ogni posizione presa dall’hyperleader. E il flusso di proposte non è altro che ciò che Jodi Dean descriveva come capitalismo comunicativo: Il messaggio è semplicemente parte di un flusso di dati. Il suo contenuto particolare è irrilevante. Chi lo ha inviato è irrilevante. Chi lo riceve è irrilevante. Che abbia bisogno o no di una risposta è irrilevante. L’unica cosa rilevante è la circolazione, l’aggiunta al flusso. Ogni contenuto specifico resta secondario alla circolazione.
Il brusco risveglio del MoVimento avviene nel 2017. Due intrusi, un hacker buono e un hacker cattivo, violano Rousseau. Il white hat hacker – cioè un hacker etico, un esperto di cybersecurity – entra nel sistema con il solo scopo di dimostrare che i dati degli iscritti possono essere facilmente rubati da chiunque. Non li divulga, ma dà un avvertimento al M5S. Avvertimento che cade nel vuoto. Poco dopo, entra in scena il cattivo, il black hat hacker. I dati sensibili di parlamentari, donatori e iscritti finiscono su Twitter. Il Garante per la privacy interviene subito con un provvedimento diretto a sanare le vulnerabilità della piattaforma. Criticità principali rilevate: la mancata riservatezza delle operazioni di voto (la piattaforma associa a ogni voto espresso il numero di telefono dell’iscritto, quindi i gestori sono in grado di controllare le scelte degli utenti) e l’utilizzo di un software a “codice chiuso” che non consente verifiche esterne sulla regolarità delle votazioni. Una complessa attività istruttoria si porta avanti fino al 2019, quando il Garante sanziona le carenze in materia di protezione dati personali della piattaforma con una multa di 50mila euro all’Associazione Rousseau.
Da qui, scocca la mezzanotte: la carrozza si ritrasforma in zucca, l’incanto svanisce e Cenerentola si trova tra le mani i cocci di un MoVimento logorato, disilluso e diviso all’interno. I parlamentari pentastellati si sentono minacciati dall’Associazione Rousseau, vedono Davide Casaleggio e i suoi soci come manipolatori intenti a orientare e condizionare le scelte politiche dei Cinque Stelle. Si sentono spodestati, loro che sono stati realmente eletti, loro che si riuniscono fisicamente nelle aule delle Camere, loro che rappresentano il MoVimento molto più di quanto non facciano i gestori della piattaforma.
Questa consapevolezza degli eletti è cresciuta negli ultimi due anni, logorando i rapporti con l’Associazione, fino ad arrivare al culmine: il MoVimento, rappresentato da Vito Crimi, ha presentato al Garante per la privacy una segnalazione. A seguito, una diffida, con la quale ha intimato a Rousseau la consegna dei dati riferiti agli iscritti e l’astensione da ogni forma di trattamento che non sia necessario all’adempimento degli obblighi di legge. Il Garante ha appoggiato la richiesta. Ciao Ciao Rousseau. Benvenuto Skyvote.
Il MoVimento ha deciso di non abbandonare la sua struttura digitale, ma si affiderà alla piattaforma sviluppata dalla società Multicast per il voto sul nuovo Statuto e su Conte. Questa mossa sarà in grado di ricostruire un rapporto di fiducia con l’elettorato? O avremo l’ennesimo hyperleader pronto a sfruttare una nuova rosa.com, che anche con un altro nome conserva lo stesso profumo?