Periodicamente, si torna a parlare di educazione sessuale a scuola e, altrettanto ciclicamente, si constata che siamo davvero molto indietro sulla tabella di marcia. L’ultima volta il mese scorso, quando un istituto del modenese si è visto travolto dalle proteste dei genitori e delle associazioni pro vita e famiglia a causa di un programma che affrontava i temi della salute sessuale senza cedere alla tentazione dello stigma.
Considerato ancora un tabù, se tante famiglie non riescono ad affrontare i temi legati alla sfera sessuale senza ricadere in trattati di moralità, spetterebbe alla scuola rimediare e fornire ai giovani di tutte le età gli strumenti per affrontare tutti gli aspetti della vita, in particolare quelli che hanno a che fare con la salute. Eppure, in Italia non accade, poiché il nostro è uno dei sei paesi europei (insieme a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania) a non prevedere l’educazione sessuale come materia obbligatoria.
L’assenza di un programma nazionale non si traduce necessariamente in una totale assenza di corsi di educazione sessuale nelle scuole, che in sporadici casi compaiono grazie alle iniziative promosse dai dirigenti scolastici o da genitori impegnati, ma comunque soggetti alle proteste esterne. Come è avvenuto a Modena, è facile che fiocchino titoli come Non parlate di sesso a scuola o il versatile Giù le mani dai bambini, che compaiono con annesse squalificazioni di insegnanti e dirigenti anche grazie all’appoggio di una parte della politica che ci tiene a sottolineare il sostegno alle famiglie che vogliono proteggere l’innocenza dei bambini. Ma, nella maggior parte dei casi, l’inesistenza di un programma nazionale comporta la totale assenza di informazioni che, all’interno di una sfera così delicata, porta a numerosi problemi.
Gravidanze indesiderate e aumento delle malattie sessualmente trasmissibili sono le più evidenti conseguenze che l’assenza di educazione sessuale a scuola comporta. A chi sostiene che parlare di sessualità implica un precoce accesso all’attività sessuale nei giovani adolescenti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità risponde, invece, che la consapevolezza nata da un’educazione non edulcorata ritarda l’età delle prime attività sessuali. La ragione risiede sicuramente nel fatto che non fornire alcun tipo di informazione o sostenere di praticare l’astinenza non solo non ottiene l’effetto sperato, ma conduce i giovani a informarsi da soli.
Un’indagine del 2019 condotta dal Ministero della Salute ha rilevato che in assenza di un programma scolastico l’80% dei giovani italiani cerca le informazioni online. Ora, senza demonizzare in alcun modo la pornografia, bisogna però convenire che essa non può rappresentare una completa e soddisfacente sostituzione dell’educazione sessuale, che educa i ragazzi alla contraccezione, alla protezione dalle malattie sessualmente trasmissibili e all’affettività. Ciò che invece funziona, con la sorpresa di tutte le associazioni pro vita e famiglia che sperano che i loro programmi di astinenza funzionino, è proprio un’educazione completa e priva di tabù sin dai primissimi anni di scuola, sin dall’infanzia. Secondo i dati raccolti nel resto d’Europa, in Finlandia l’introduzione dell’educazione sessuale nei programmi scolastici ha fatto diminuire la quantità di parti e aborti nelle ragazze tra i 15 e i 19 anni, l’Estonia ha visto diminuire sensibilmente la trasmissione delle malattie veneree e la Germania ha raggiunto il 92% di ragazzi che utilizzano contraccettivi sin dal loro primo rapporto.
Se è dunque indubbio che l’educazione sessuale funziona e che la scuola dovrebbe farsi carico di questo importante pezzo dello sviluppo dei bambini e degli adolescenti, ci sono altri aspetti da considerare. Innanzitutto, l’educazione sessuale comprende anche l’educazione all’affettività. Insegna cioè il rispetto per il prossimo, educa i ragazzi al concetto del consenso e alla tolleranza delle diversità. Permetterebbe, dunque, di agire alla radice di problemi come le violenze sessuali e la discriminazione, insegnando ai giovani il rispetto del partner e la cura del consenso, e abbatterebbe lo stigma intorno alle pratiche non eteronormative, diminuendo di fatto la discriminazione della comunità LGBTQ+.
Inoltre, l’educazione sessuale, soprattutto se svolta sin dai primissimi anni di scuola, permette di prevenire gli abusi, soprattutto quelli svolti sui minori. In molti raccapriccianti casi, infatti, l’inconsapevolezza rispetto ai temi legati alla sfera sessuale non permette alla vittime stesse, quando molto giovani, di riconoscere determinati comportamenti come abusanti. L’inconsapevolezza è, infatti, l’arma tramite la quale avvengono non solo gli adescamenti online, di cui abbiamo il terrore, ma anche gli abusi in famiglia, spesso taciuti per anni e non riconosciuti come violenza proprio a causa della mancata conoscenza dei giovanissimi riguardo i temi della sessualità.
Insomma, una legge che determini l’obbligo dell’educazione sessuale a scuola è oltremodo necessaria. Eppure, negli ultimi quarant’anni tutti i tentativi di formulazione non sono andati a buon fine. Questa assenza comporta anche una frammentarietà dei corsi organizzati dalle scuole perché non chiarendone le linee guida rischia comunque che ogni insegnamento sia in qualche modo soggetto a pregiudizi e tabù. Oppure che ogni regione agisca diversamente, spesso influenzata dalle credenze sostenute dal colore politico del momento.
Socrate diceva che il sapere rende liberi. Io aggiungerei che è più che altro il non sapere a rendere incatenati. La sessualità – imposta o negata – è stata lo strumento che per millenni ha permesso il controllo sulle persone, sui loro corpi e sul loro intero essere. E tutto questo è stato possibile solo grazie all’ignoranza: non si aveva accesso alle informazioni riguardo la sfera sessuale e ciò che si sapeva era edulcorato e confuso. Si pensi per esempio a come la Chiesa ne ha sempre parlato, condannando qualcosa di mai ben definito: non commettere atti impuri, rispetta il tuo corpo, non sprecarti. Non c’è da chiedersi come imporre un divieto a qualcosa di indefinito perché è la sua stessa vaghezza, inaccessibilità, che ne nega l’esistenza.
Ma così come l’ignoranza nega il libero arbitrio, il sapere rende liberi, liberi di scegliere soprattutto in un contesto, quello del nostro Paese, in cui alle libertà formali non seguono quelle effettive, quelle che, nei fatti, forniscono il potere di prendere le proprie decisioni nella piena consapevolezza di tutte le informazioni necessarie. È questo a mio avviso l’aspetto più importante che ruota intorno all’educazione sessuale a scuola: emancipare, in qualche modo, offrire ai giovani gli strumenti per comprendere il mondo e non conoscerlo attraverso la morale di chi li educa, poter scegliere in piena facoltà se assecondare o meno quella morale o quelle credenze.
Il problema, dunque, non è la morale in sé, quanto il fatto che essa venga formata all’interno di un contesto piuttosto inconsapevole delle verità che vi ruotano attorno. Se tenere all’oscuro i giovani serve a proteggere più gli adulti e la loro morale, anche a costo di danneggiare la salute e la formazione della coscienza dei diretti interessati, renderli consapevoli, invece, serve a liberarli, a offrire loro la possibilità di scegliere innanzitutto per la propria salute – spesso trascurata, soprattutto nelle ragazze, a causa dello stigma – e poi della propria morale, costruita secondo le proprie regole e non a partire da quella degli altri. In questo modo i giovani – e gli adulti che saranno – avranno la possibilità di scegliere se praticare il sesso o se non praticarlo, se avere uno o innumerevoli partner e qualunque scelta faranno non sarà basata su una morale imposta o su una inconsapevolezza latente, ma solo ed esclusivamente sulla propria coscienza.
Se la sessualità oggi ha il tanto temuto potere di emancipare non è perché ha maggiore importanza o valore di altri temi relativi al corpo o alle scelte, ma perché se per millenni è stato strumento di controllo, adesso non può che diventare strumento di libertà.