La prima volta aveva sedici anni, era giovane e già molto diverso dalla moltitudine dei suoi coetanei. Amava l’arte, in tutte le sue forme, e cercava di trovare la propria gettando schizzi su carta. Fu il padre a organizzare tutto, esponendo alcuni tra i migliori disegni a carboncino del figlio che, da quella prima mostra nella residenza di famiglia, di strada ne avrebbe fatta.
Continuò a “camminare”, Dalí, anche dopo la sua morte, consacrato all’eternità da un’arte che ha fatto letteralmente il giro del mondo, e quest’anno è giunta fino a Napoli.
Stavolta, infatti, a celebrarlo è il PAN, il Palazzo delle Arti napoletano, con un’esposizione a cura di Lucia Moni e Laura Bartolomè della Fundació Gala–Salvador Dalí, e Francesca Villanti, direttore scientifico di Creare Organizzare Realizzare. Così, grazie all’impegno di un lavoro sinergico, appassionati e curiosi potranno approcciarsi a un mondo irrazionale, onirico e straniero, perché parlare del pittore spagnolo significa soprattutto parlare di Surrealismo.
Considerato uno dei maggiori artisti del XX secolo, infatti, Dalí è senz’altro una delle punte di diamante del movimento d’avanguardia nato a ridosso della Grande Guerra, generato dall’esigenza di manifestare, all’esterno, tutta l’insensatezza che appariva fuori e di promuovere l’astrattezza contro gli ideali della vecchia armonia, l’influenza dell’inconscio sulla rigida ragione e la creatività originale come massima ispirazione artistica.
Ma non solo l’arte di Salvador era surreale: fin da bambino le stranezze furono parte integrante della sua vita. L’artista fu convinto dai genitori di essere la reincarnazione del loro primo figlio, morto di meningite esattamente nove mesi prima della nascita di Dalí, che del fratello avrebbe detto: «Ci somigliavamo come due gocce d’acqua, ma rilasciavamo riflessi diversi. Probabilmente lui era una prima versione di me, ma concepito in termini assoluti.»
Per tutta la vita ebbe un solo amore veramente grande, al quale restò fedele fino alla morte e per il quale, probabilmente, morì: Gala, moglie e musa ispiratrice, e grande promotrice del lavoro del marito. Dalí la conobbe nel ’29, quando lei aveva ancora al dito una fede che la legava a un altro uomo, Paul Éluard, poeta francese e amico di Salvador.
Fu con lei che il surrealista spagnolo raggiunse New York nel ’40, quando il secondo conflitto mondiale rendeva irrespirabile l’aria della straziata Europa. E sempre in America, con accanto l’amata e innamorata Gala, conobbe e collaborò con nomi altrettanto impressi nella memoria della storia, come Alfred Hitchcock e Walt Disney.
Dopo tanti altri grandi del campo artistico arriva, quindi, a Napoli, esposto in una mostra che sarà aperta da marzo fino al prossimo 10 giugno dalle 9:30 alle 19:30, tutti i giorni eccetto il martedì, visitabile pagando un biglietto intero dal costo di 10 euro e ridotto al prezzo di 8 per ragazzi di età inferiore ai 26 anni o per gruppi superiori alle dodici persone.
Sarà impossibile non restare quantomeno affascinati da un artista difficile da comprendere, forse addirittura incomprensibile, immerso nel mistero che avvolge il genio, consapevole della propria irripetibilità. Solo visitando il PAN ed entrando in contatto con le sue opere di natura tutt’altro che esclusivamente pittorica, sarà possibile, inoltre, capire la natura di una sua famosa affermazione: «Io non prendo droghe. Io sono una droga.»