Il governo non è ancora formato, ma la colpa del disastro elettorale che ha garantito oltre il 33% delle preferenze al M5S è già del Sud, che si è permesso di votare nel proprio interesse, viste le condizioni date.
Immediatamente, infatti, si è cominciato ad affermare che il reddito di cittadinanza è un provvedimento assistenzialista e che la logica del “paesano” consentirà a Luigi Di Maio di poter fare grandi “favori” ai suoi concittadini e così via. Ma perché mai in Inghilterra il rapporto diretto tra elettori ed eletti lo chiamiamo serenamente democrazia mentre in Italia, e soprattutto nel Sud Italia, dovremmo necessariamente continuare a definirlo clientelismo? Piantiamola.
Questo ritratto forzatamente macchiettistico del Meridione continuerà a uccidere la sinistra del Paese, che se non si decide a dare al Sud ciò che sovrabbonda al Nord, ovvero infrastrutture degne di essere definite tali e finanziamenti diretti a chi lavora e non a chi “controlla” che il Mezzogiorno non cammini sulle sue gambe, non potrà che continuare a fare la fine di una moneta nelle mani di chi con esso ha finora fatto e continuerà a fare testa o croce.
Onestà intellettuale e sano pragmatismo politico ed economico vogliono che si riconosca, una buona volta, la verità mai detta da 157 anni a oggi: è l’intera nazione che ha bisogno del Sud, non viceversa, se vogliamo cominciare a contare qualcosa in Europa e nel mondo.
In democrazia vincono le maggioranze, che queste piacciano o meno. Il popolo va sempre rispettato, qualunque sia la sua decisione, soprattutto quando dimostra plasticamente di saper essere più forte della miseria a cui lo si è voluto e ancora lo si vorrebbe ridurre. Ora la partita si giocherà al Quirinale, ma ancora prima si dovrà decidere chi saranno i Presidenti di Camera e Senato, quali moneta di scambio tra le forze che verranno chiamate a formare il futuro governo della Repubblica.
Dopo un succedersi di quattro legislature indotte in maniera etero-diretta, finalmente, si torna a una linearità istituzionale dimenticata, con una corsa alle urne che mancava da un po’ e un’affluenza che ha toccato punte pari al 73% degli aventi diritto, con una differenza sostanziale tra chi ha votato in Italia e chi ha votato fuori dai confini nazionali, che ha invece affossato il M5S al 17% circa, il centrodestra al 22% e confermato il Partito Democratico come forza politica principale con circa il 27% delle preferenze, in quanto percepito come maggiormente aperto alle logiche di mercato su scala globale.
D’altronde, non poteva che essere così: l’interesse di tutti quei soggetti economici che operano Oltralpe non coincide con quello di un Paese ormai non più percepito come il proprio, avendo endemicamente dissolto la propria identità e memoria nel contesto utilitarista e senza radici del mercato globale.
Diversamente, chi opera all’interno del territorio dello Stivale è portato a far coincidere il proprio bisogno con quello generale di una nazione che rivendica la necessità di ridarsi delle credenziali tramite cui tornare a presentarsi con una propria idea di sé nel mondo.
Il Partito Democratico è la rappresentanza politica che più di ogni altra, in Italia, ha operato contro gli interessi di una nazione che voleva ritrovar se stessa. È palesemente per questo motivo che non ha avuto e non potrà mai più avere ragione, essendo stato il maggior responsabile di quel grottesco paradosso post-ideologico che ha attraversato e che continuerà ad attraversare tutta la società civile italiana, per cui chi ancora si riconosce sinceramente in valori di sinistra non ha potuto che ritrovarsi in ideali di destra, lì dove a fronte di un mondo che genera servitù, che deporta miseria, di un mondo che risucchia a sé competenze e saperi, solo la patria può tornare a dar lavoro, il confine a esser sacro e le tradizioni ad aver sapore di casa.
In conclusione, dinanzi a una sinistra che se ne dimentica, il popolo non può che cercare vie d’uscita se non ripiegando inevitabilmente a destra, poiché essendo la politica, a differenza della matematica, una gigantesca costruzione e organizzazione di opinioni, invertendo l’ordine degli addendi, anche il risultato fatalmente cambia. In piena epoca di “anglobalizzazione” compulsiva degli scambi tra merci e capitali e di conseguente “glebalizzazione” dei rapporti tra le classi sociali, nonché di acritica esterofilia, ubi minor, maior cessat.