Espiazione è uno dei romanzi più famosi dello scrittore contemporaneo Ian McEwan. Pubblicato nel 2001, è stato così apprezzato dalla critica da essere considerato come uno dei migliori libri del XXI secolo.
Non è facile, quindi, riassumere un’opera di tale portata, il racconto di una storia d’amore rovinata dalla fantasia di una giovane tredicenne, la quale, capito il suo errore, cerca durante l’intera vita di fare ammenda della colpa commessa. Ciò che viene narrato nel testo di McEwan, infatti, è la storia di come Briony, figlia più piccola della famiglia Tallis, mandi in carcere Robbie Turner, l’innamorato di sua sorella maggiore Cecilia, accusandolo ingiustamente di aver stuprato sua cugina Lola, e di come la protagonista, una volta cresciuta, tenti di espiare la sua colpa lavorando come crocerossina durante la Seconda guerra mondiale.
Nel romanzo, diversi sono i temi affrontati: la guerra, l’attesa amorosa, il rapporto genitori figli. Tuttavia, i due fuochi attorno ai quali si articola l’intreccio sono quello dell’espiazione della colpa e della scrittura.
Diviso in tre parti seguite da un epilogo, lo scritto di McEwan affronta il nodo dell’espiazione soprattutto nella seconda e nella terza parte che lo compongono: rispettivamente a espiare le proprie colpe sono Robbie e Briony. Assumendo i punti di vista di questi personaggi, infatti, si racconta prima di come Robbie, dopo cinque anni di galera, debba fare ammenda per un peccato non commesso arruolandosi come volontario durante la Seconda guerra mondiale e, dopo, di come Briony, cresciuta, avendo realizzato chi sia il vero stupratore di Lola e avendo compreso di aver rovinato ingiustamente la felicità della sorella e del suo amante, decida di diventare infermiera in tempi di conflitto per riparare al suo sbaglio attraverso una vita ricca di sacrifici, in cui l’unico svago è scrivere qualche pagina di un romanzo la sera prima di andare a letto.
Il tema della scrittura, invece, non è localizzato in un punto preciso, bensì è dislocato in tutte le pagine del libro con numerosi passaggi che mettono in evidenza la potenza dell’immaginazione, della scrittura e della narrazione. È attraverso Briony che McEwan trasforma il suo romanzo anche in una riflessione sull’arte dello scrivere. A partire dalle prime pagine, infatti, l’autore delinea chiaramente il personaggio della piccola Tallis: è una scrittrice.
Fin da quando era piccolissima, la protagonista sente il bisogno di mettere in ordine il caos del mondo che la circonda attraverso le parole, ed è per questo che, quando assiste a degli strani eventi che coinvolgono sua sorella e il giardiniere Robbie, necessita di trasformarli in una narrazione ben ordinata, che affronti temi adulti, diversi da quelli fiabeschi di cui ha finora scritto nelle sue storie e nelle sue commedie teatrali. La sua fantasia e il suo bisogno di creare racconti e diventare adulta, la portano a fraintendere i segnali di un amore che sta sbocciando e a trasformarlo in una storia di stupro che, confessata alla polizia, porta alla condanna e all’incarcerazione dell’uomo.
Ciò che più è interessante è che questi due argomenti fondamentali nello sviluppo del libro, seppur apparentemente slegati, si rivelano in realtà essere strettamente intrecciati l’uno all’altro nel suo epilogo, dove una Briony ormai settantasettenne prende direttamente la parola e ci svela che tutto quello che si è letto non è altro che il romanzo che ha scritto e riscritto più volte nel corso degli anni per raccontare la verità sui fatti accaduti quella sera d’estate e per discolpare Robbie di quel peccato di cui lei gli aveva fatto carico. Ci svela, poi, che quella sigla che appare alla fine della terza sezione dell’opera, BT, Londra 1999, sta per Briony Tallis e che tutto ciò che la precede è la stesura della sua espiazione. Non è attraverso il suo impegno da crocerossina che la protagonista ha cercato di “smacchiare” sé stessa, quindi, ma attraverso la scrittura.
Nell’epilogo, inoltre, la vecchia Briony, ormai scrittrice affermata, confessa anche qualcos’altro: il lieto fine che racconta, quello in cui Cecilia e Robbie sono di nuovo insieme, è solo un finto congedo che lei ha voluto regalare ai due amanti i quali, in realtà, non si sono mai rincontrati perché morti durante la guerra. La narratrice ha voluto cedere alla sua debolezza, regalando ai due innamorati un finale che non hanno mai avuto, ed è proprio questa sua fragilità che le ha permesso di realizzare che per uno scrittore la redenzione non è mai possibile.
Il problema in questi cinquantanove anni è stato un altro: come può una scrittrice espiare le proprie colpe quando il suo potere assoluto di decidere dei destini altrui la rende simile a Dio? Non esiste nessuno, nessuna entità superiore a cui possa fare appello, per riconciliarsi, per ottenere il perdono. Non c’è nulla al di fuori di lei. È la sua fantasia a sancire i limiti e i termini della storia. Non c’è espiazione per Dio, né per il romanziere, nemmeno se fossero atei. È sempre stato un compito impossibile, ed è proprio questo il punto. Si risolve tutto nel tentativo.
McEwan trasforma il suo libro in un bellissimo metaromanzo in cui riesce, tramite Briony, a mostrare il difficile ruolo dell’autore. Adottando la tecnica dello stream of consciousness e la focalizzazione interna alterna, il romanziere riesce a entrare nella testa dei suoi personaggi. Tuttavia, alla fine della sua opera, arriva a contraddire queste stesse tecniche, mostrando che non sono altro che un escamotage dello scrittore per illudere il lettore sull’oggettività dei fatti e rivelando, attraverso la confessione della protagonista, che quel tanto agognato narratore impersonale decantato da Flaubert non esiste, che anche quando sembra che i pensieri che si leggono sulla carta siano appartenenti al personaggio, in realtà, è sempre l’autore a pensarli e che, sebbene gli eventi narrati in Espiazione sembrino essere visti attraverso gli occhi dei protagonisti diretti delle vicende, sono sempre stati filtrati dallo sguardo penetrante e vivace della penna di Briony.