Cose fatte – Cose da fare. Si presenta così il programma elettorale del Partito Democratico guidato da Matteo Renzi in vista del voto del prossimo 4 marzo, un documento stilato in 100 punti esatti che elenca l’operato del governo uscente e relative migliorie – o upgrade – da apportare alle norme entrate in vigore nel corso dei cinque anni della scorsa legislatura Letta – Renzi – Gentiloni (con benestare di Berlusconi, Alfano, D’Alema, Verdini, e tanti altri, certo… ma questa è un’altra storia).
Gli habitué dei talk-show televisivi a sfondo politico, o dei quotidiani del mattino, non si troveranno impreparati di fronte al presente articolo, già avvezzi a vedere spuntare il leader democratico in ogni salotto di discussione o su ogni pagina di giornale presente in edicola, tuttavia, le promesse dell’ex Sindaco di Firenze potrebbero vedersi accordare almeno il ventidue percento delle preferenze degli italiani, pertanto, un’analisi dei contenuti del manifesto renziano risulta d’obbligo per ogni testata che ambisca a favorire il dibattito.
L’esperienza di governo appena terminata si forgia di tante idee tradotte in pratica, dal mondo del lavoro alla scuola, passando per i diritti civili, non tutte, purtroppo, con lo stesso esito positivo. Il Jobs Act ha, infatti, dato sollievo alle statistiche relative all’occupazione italiana, ciò che non racconta, però, è l’occhio che ha strizzato ai rapporti precari; la Buona Scuola ha riformato l’istruzione sin dalle fondamenta, lasciando indietro il parere di migliaia di insegnanti delusi; le coppie di fatto hanno trovato un porto in cui professare libere il proprio amore, per la comunità LGBT, tuttavia, un futuro di pari opportunità sembra ancora una lontana chimera e nessuno ha messo seriamente mano a provvedimenti volti a un avvicinamento del giorno in cui nessuna differenza scriverà più la parola amore con colori diversi; il biotestamento è finalmente legge dopo anni di battaglie e umiliazioni per i malati terminali costretti a viaggi clandestini verso la Svizzera; lo Ius Soli, provvedimento di dignità e giustizia sociale, invece, è stato soffocato al contrario dei fiati fascisti appena solleticati dal disegno della nuova legge Fiano.
Insomma, luci e ombre sull’operato del PD, un percorso a ostacoli che ha avuto nella sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 il suo momento di crisi più importante e che ha dovuto affrontare le vicende legate a papà Renzi e alle banche vicine a Maria Elena Boschi. Non c’è traccia di queste, però, nella colonna sinistra del programma di governo, quello relativo alle cose fatte dove, invece, campeggiano al primo posto gli 80 euro restituiti ai contribuenti con stipendio inferiore ai 1500 euro, il bonus bebè, l’eliminazione dell’IMU sulla prima casa, i successi nella lotta all’evasione fiscale, l’obbligatorietà dei vaccini, l’introduzione del reato di omicidio stradale.
Ed è proprio dal contributo alle famiglie che partono i buoni propositi per la prossima legislatura, con gli 80 euro che, sostiene Matteo Renzi, saranno erogati per ogni figlio fino al compimento del 18esimo anno d’età. Altra manovra interessante, in linea con i principali Paesi europei è – finalmente! – l’introduzione del salario minimo legale, così come l’ipotesi di investire sulla cultura, dall’apertura dei musei anche nelle ore serali durante le feste alla valorizzazione di Matera Capitale Europea della Cultura per il 2019 come impegno per il Mezzogiorno.
Sono, però, i macro-temi a non trovare reali dichiarazioni d’intenti, come per l’immigrazione disegnata come un successo relativamente alla diminuzione dei flussi migratori via mare, sorvolando sulle disumane condizioni delle carceri libiche con cui il PD ha praticamente – anche se non direttamente – stretto accordi, auspicando, quindi, un cambiamento nei Trattati di Dublino del 2003 che prevedono la gestione dei casi a carico solo dei singoli Stati d’approdo. Viene, certo, sottolineato l’impegno a favore dello Ius Soli, di cui, però, in ottica elettorale, non si fa mai il nome per chissà strappare un voto a qualche lettore distratto di centrodestra non incline al fascino della Meloni plastificata dei manifesti elettorali. Si scrive, invece, necessaria una legge contro le fake news.
Grande assente, alla lettura dell’intero manifesto politico, è l’approvazione della Legge Fiano, sepolta dallo scioglimento anticipato delle Camere dello scorso 29 dicembre. Così come per l’occultazione del nome proprio della legge sul diritto di cittadinanza per i minori nati e cresciuti in Italia, inoltre, l’improvvisa necessità di non ricordare ai fascisti che la Costituzione impone di dar loro battaglia e che il PD, addirittura, era portavoce, fino a qualche mese fa, di un provvedimento ancor più restrittivo delle libertà loro concesse in ogni dove, assume la forma di una strategia ben pensata al fine di non colpire alla pancia del Paese, quella razzista, quella che porterà alle formazioni in gioco un’incredibile disponibilità di preferenze. Silenzio.
Un silenzio, però, fastidioso da parte di chi, invece, dell’arte oratoria fa uno dei suoi punti di forza, di chi sa alzare la voce per propagandare, per elargire gli slogan di cui quelle cento frasi sono pregne, spesso senza senso. È un programma, quello di Matteo Renzi e del Partito Democratico, sintetizzabile in molte proposte in meno rispetto a quelle avanzate, che si gonfia di frasi fatte mancanti di soluzioni effettive e concrete, che cela sapientemente i principali temi tra numeri e percentuali, che disegna un Paese che non appare a chi fatica a giungere a fine mese, un programma che probabilmente non avrà modo di vedere le luci verdi e rosse dei tabelloni del Parlamento e che per realizzarsi avrà sempre, comunque, bisogno dei voti di altre formazioni, da Grasso – già annunciato –, agli stessi, soliti forzisti. Cose fatte – Cose da fare. E non cambia mai niente.