Io amo la notte perché di notte tutti i colori sono uguali e io sono uguale agli altri, diceva Bob Marley. Ma se la notte è illuminata dalle luci della ribalta e lo sfondo è tutto bianco, allora sono guai. Anche se ti chiami Surya Bonaly e sul ghiaccio riesci a fare un salto mortale all’indietro con atterraggio su una gamba sola.
È il 1998, a Negano, Giappone. Il pubblico estasiato acclama le pattinatrici in gara per l’oro olimpico invernale. Surya indossa un costume bianco come il ghiaccio che spicca sulla sua pelle nera d’Africa, la sua esibizione parte sulle note dell’Inverno di Vivaldi.
L’esordio e la sua carriera lasciano presagire uno spettacolo unico, ma poco dopo l’inizio la giovane sbaglia un triplo Salchow, giocandosi qualsiasi medaglia. La tensione aumenta. I piedi di Surya volano come l’arco sulle corde del violino che suona. È alla sua terza edizione e non è mai arrivata sul podio. Ora pattina per gli spettatori.
I giudici della competizione mondiale restano alle spalle, mentre lei decide di infrangere il regolamento. Del tutto inatteso, arriva il back flip, il salto mortale all’indietro che da questo momento prenderà il suo nome. Prima di lei nessuna donna ci ha mai provato, solo tre uomini, ma non con atterraggio su un piede solo. Il pubblico è in delirio, non importa la penalità nel punteggio. Surya è nella storia e porta con sé il merito di aver legalizzato un salto proibito: nel pattinaggio artistico sono giudicabili solo gli atterraggi su una lama e, prima di lei, atterrare da un salto all’indietro sembrava possibile solo su entrambi i piedi.
Le principesse sul ghiaccio, però, non sono nere, nonostante la Bonaly sia nove volte consecutive campionessa francese e cinque volte campionessa europea. La pattinatrice sa di essere un oro, ma sa anche che una donna di colore deve fare meglio di qualsiasi donna bianca, persino meglio di uomo.
Anticonformista, innovatrice, leale alle sue idee e al suo talento, già nel ‘94 decide che quello della società bianca perbenista è un gioco a cui lei non vuole giocare. Così, quando ai campionati mondiali raggiunge il secondo posto, si toglie dal collo la medaglia per dimostrare al mondo che quello non è il suo traguardo: l’oro sarebbe l’onesto e meritato riconoscimento, mentre l’argento è solo un pezzo di metallo per salvare la faccia ai giudici bianchi come le sue avversarie.
Con la competizione giapponese, l’atleta mette un punto alla sua carriera agonistica, senza mai abbandonare la sua passione e la sua voglia di gridare un no deciso davanti alle ingiustizie che incontra. Difende gli oppressi, chiunque essi siano. Si fa fotografare nuda sul ghiaccio per sostenere una campagna in difesa dei cuccioli di foca, uccisi per le pellicce, e, sempre in difesa degli animali, decide di diventare vegetariana.
Sensibile e forte, è uno dei più grandi esempi del rispetto verso la vita e verso se stessa. Distruttrice di maschere, portatrice di una bandiera che porta il fregio della giustizia, Surya Bonaly è un orgoglio per il mondo e la dimostrazione che la strada per la fine delle discriminazioni razziali è appena imboccata, ma vede ancora lontano il suo termine.