La conquista longobarda del Ducato di Napoli da parte del Principe di Capua Pandolfo IV durò per pochissimi anni, dalla fine del 1027 ai primi mesi del 1030. Dal 20 dicembre scorso, però, il popolo dalle lunghe barbe è tornato, ospite del MANN, in una mostra straordinaria che racconta la storia di una popolazione che nel 568, guidata da Alboino, varcò le Alpi Giulie e iniziò la sua espansione sul suolo italiano e verso il Meridione, ove consolidò la propria epopea.
Almeno trecento reperti, prestiti da ottanta enti e musei: anelli, sigilli, gioielli, monete, ceramiche, corredi funerari, iscrizioni e lapidi, la Stele con l’Arcangelo dal Museo di Capua, la Lastra con grifoni dall’Antiquarium di Cimitile, poi documenti scritti come il Codex Legum Langobardorum e il codice in scrittura beneventana dell’anno 1005, custodito nella Badia di Cava de’ Tirreni. Sono trentadue i siti e i centri longobardi rappresentati in mostra, cinquantotto i corredi funerari esposti integralmente, tre le cripte pavesi, appartenenti a soggetti diversi, aperte per la prima volta al pubblico. Di grande impatto i crani oblunghi ritrovati a Collegno, testimonianza della pratica secondo cui le famiglie di prestigio deformavano le teste dei bambini come segno di distinzione sociale, e le sepolture di animali ricostruite con lo scheletro di un cavallo.
La mostra ha avuto l’appoggio scientifico e la collaborazione del MIBAC con il supporto di oltre cinquanta studiosi coinvolti nelle ricerche e nel catalogo edito da Skira, in un convegno cui seguirà la pubblicazione degli atti di studio. Curata da Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi con Ermanno Arslan, Carlo Bertelli, Caterina Giostra, Saverio Lomartire e Fabio Pagano, e con la direzione scientifica di Susanna Zatti, Paolo Giulierini e Yuri Piotrovsky, l’esposizione organizzata da Villaggio Globale International propone una visione complessiva della cultura e dell’eredità del popolo longobardo, promuovendo la tesi di un ruolo fondamentale nella storia della nostra penisola.
I Longobardi cambiarono l’Italia e il Mezzogiorno, fondendo le proprie tradizioni ancestrali con la civiltà romana, attraverso la funzione della Chiesa, e riuscirono a creare una cultura originale. Spartiacque tra l’antico e il nuovo, traghettarono i valori della romanità attraverso la crisi delle istituzioni e dell’economia, la frammentazione territoriale, lo spostamento del baricentro politico dal Mediterraneo all’Europa centrale e dal Nord all’Italia meridionale.
Oltre quindici anni di indagini archeologiche, epigrafiche e storico-politiche su siti e necropoli. Accanto ai reperti delle aree settentrionali, i ritrovamenti di San Vincenzo al Volturno, l’ampio patrimonio alto-medioevale conservato al MANN e studiato dai ricercatori del Suor Orsola Benincasa, dimostrano che persa Pavia, la capitale del regno caduta sotto Carlo Magno nel 774, il futuro dei Longobardi fu nelle regioni meridionali ove i ducati di Capua, Benevento e Salerno divennero importanti centri di potere e cultura.
Un allestimento suggestivo che, grazie all’integrazione tra i vari livelli comunicativi, fonde rigore storico e tecnologia con diciassette video originali, installazioni multimediali, touch screen, ologrammi, ricostruzioni 3D e un’efficace sezione didattica, e prova a colmare le distanze tra ricerca archeologica e società fornendo una comunicazione semplice ed efficace, anche attraverso la ricostruzione storica dei rievocatori dell’Associazione La Fara.
Prospettive scientifiche che valorizzano il territorio campano e strumenti moderni di divulgazione del sapere che fanno di questa mostra un appuntamento da non mancare. Avremo tempo per conoscere i Longobardi fino al 25 marzo, poi la nostra storia invaderà l’Hermitage di San Pietroburgo e vinceranno i guerrieri dalle lunghe barbe, almeno per qualche mese.