Grandi, piccoli, tradizionali, in teca o su tela: di presepi ne abbiamo visti davvero in ogni versione, soprattutto a Napoli, la capitale dell’artigianato dedicato alla Natività. Si sa, la più famosa e caratteristica meta natalizia partenopea resta la lunga e affollata via di San Gregorio Armeno. Solo qui, infatti, è possibile trovare pezzi unici e particolarissimi, che spesso scadono nel profano di una tradizione folcloristica e non mancano di onorare o ridicolizzare personaggi politici e calciatori. Così, assieme a macellai, lavandaie e persino ginecologi, tra i pastori più fotografati del 2017 non potevano mancare Trump, Putin e Kim Jong-Un, con tanto di missile, oltre che il sempre amato chef Cannavacciuolo.
Ma Napoli non è solo San Gregorio e il clima natalizio che si respira in tutta la città ha portato anche quest’anno un nuovo appuntamento da non perdere. Si tratta della Mostra di Arte Presepiale della Pro Loco di Napoli e della sua Provincia, ospitata in una sede d’eccezione, lo splendido Castel dell’Ovo, non in una stanza qualunque, bensì nelle sue vecchie carceri.
La mostra, gratuita, è alla sua sesta edizione e, come ogni anno, si conferma un successo. L’ambiente particolarmente suggestivo contribuisce a far apprezzare l’unicità dei pezzi esposti, realizzati in legno, sughero e tufo bianco con tecniche, colori e forme molto diverse tra loro. Non solo presepi, però, ma anche pastori in scale diverse con vestiti dell’epoca cuciti a mano. Spiccano, tra gli altri, il re e la regina, esposti al centro della sala.
Il pubblico potrà ammirare queste vere e proprie opere d’arte per tutto il mese di dicembre e fino al 7 gennaio 2018 anche nei giorni festivi, dalle 9:00 alle 13:00, e nei feriali dalle 9:00 alle 14:00 e dalle 15:00 alle 18:00.
Ma cos’ha di tanto speciale il presepe napoletano? Probabilmente, il suo essere multiculturale e la sua capacità di resistere al tempo, che in questo caso vuol dire rinnovarsi senza mai tradirsi. La tradizione partenopea come la conosciamo attualmente, infatti, viene tramandata da almeno tre secoli, affondando le proprie radici nel 1700, quando i capolavori d’artigianato cominciarono a diffondersi nelle case aristocratiche. Fu quello il momento in cui sacro e profano si unirono: il presepe non fu più appannaggio esclusivo della Chiesa e, insieme, smise di essere puro simbolo religioso.
La vita quotidiana contaminò la rappresentazione della “mangiatoia”: accanto alla Sacra Famiglia, il bue e l’asinello, cominciarono a comparire figure intrise di peccato. È questo il caso della “buona donna”, simbolo erotico antitetico rispetto alla Vergine, o della zingara che, erede della Sibilla Cumana, viene spesso rappresentata con arnesi di ferro, segno di un triste presagio che preannuncia la crocifissione per mezzo dei chiodi.
Ancora oggi, il presepe conserva la sua ambientazione settecentesca, così maestri presepiali del calibro di Giuseppe e Marco Ferrigno devono sapersi destreggiare tra vecchio e nuovo per creare pezzi unici che sappiano confrontarsi con le ineguagliabili meraviglie del passato. Tra i primi e più grandi manifatturieri dell’artigianato “natalizio” partenopeo, infatti, c’è Giuseppe Sammartino, artista insuperabile noto soprattutto per aver scolpito il Cristo Velato, conservato tuttora a Napoli nella Cappella Sansevero.