È delle ultime settimane la notizia secondo cui la pizza napoletana è stata proclamata patrimonio dell’UNESCO grazie alla raccolta di due milioni di firme in tutto il mondo. Il Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura si è, infatti, recentemente riunito in Corea del Sud, sull’isola di Jeju, e ha attribuito all’arte dei pizzaiuoli partenopei lo status di patrimonio culturale mondiale.
È finalmente attestato, dunque, che essere pizzaioli significa possedere quell’arte che, nascendo nelle zone più povere del capoluogo campano, ha poi saputo consolidarsi nel tempo ed entrare a far parte della sua cultura, divenendone un’icona. Non è soltanto il gusto unico dell’inimitabile pizza nostrana ad aver condotto a tale titolo, ma, come spiega l’ONU, anche il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto. Esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. La pizza è, infatti, soltanto un iperonimo che raccoglie il modo di fare del napoletano per eccellenza, da sempre contraddistinto nelle pellicole televisive e nei cartoni animati dal suo accento e dai gesti tipici.
Insieme al centro storico e al dialetto cittadino, riconosciuti come patrimonio nazionale dalla più importante organizzazione in ambito culturale, adesso anche la rinomata prelibatezza partenopea conquista la sua legittimazione e porta a Napoli un nuovo entusiasmo e un motivo in più, oltre al Natale, per far festa. Per l’occasione, ben cinquemila pizze sono state offerte ai passanti da centinaia di pizzaioli in Piazza del Gesù, grazie all’organizzazione di Mulino Caputo, l’azienda promotrice del Napoli Pizza Village.
Molti hanno gioito, quindi, altri hanno approfittato per vendere prodotti che poco hanno a che vedere con quello napoletano, tuttavia il premio è stato soprattutto rappresentativo del prestigio che la cultura nostrana, con le sue tradizioni e le sue arti, mantiene alto e riconosciuto non solo in Italia, ma nel mondo in generale.
L’evento, comunque, ha suscitato orgoglio nell’intero Paese, che, a sua volta, non è novizio nelle nomine firmate UNESCO. Risale soltanto a ottobre, infatti, la vittoria italiana nel progetto Città creative, che elegge annualmente le città che hanno sfruttato al meglio la creatività per incrementare lo sviluppo urbano sostenibile.
Spostandoci più a nord, le creative cities sono state Alba, Milano, Pesaro e Carrara, rispettivamente negli ambiti della gastronomia, della letteratura, della musica e dell’artigianato.
Mentre la città cuneese di Alba con le sue fiere internazionali del tartufo e del vino ha ottenuto il riconoscimento in campo culinario confermando il prestigio italiano nella gastronomia, le altre sopramenzionate hanno conferito ad arti antichissime un nuovo credito.
Nonostante la discesa delle librerie negli ultimi anni, Milano è divenuta capitale degli editori, degli autori e dei lettori con l’orgoglio dei cittadini e del ministro Franceschini, che ha considerato il riconoscimento una prova della straordinaria capacità attrattiva della cultura italiana.
Titolo più che meritato per la città lombarda, con i suoi cinquecento editori e più di duecento biblioteche, nonché la presenza del 12% delle librerie dell’intero Paese, che fa sperare in una loro nuova risalita, dopo la fatica degli ultimi anni nel reggere il confronto con l’e-commerce.
E, mentre la musica che pervade le strade e gli edifici di Pesaro ha duramente lottato per il riconoscimento come patrimonio culturale, anche l’antico mestiere dell’artigianato ha conosciuto una significativa svolta a Carrara, sopravvivendo a quello che sembrerebbe un inevitabile inabissamento causato dalla nascita di nuove professioni sempre meno manuali.
In un’Italia costantemente più travagliata, non si arresta la sua tenacia nell’imporsi tra le nazioni più meritevoli in campo culturale, con gli innumerevoli luoghi, monumenti e stimoli artistici di grande prestigio che ancora costituiscono il maggiore punto di forza del Paese.
Le candidature nelle liste UNESCO continuano a essere numerose, con gli sforzi di presidenti e collaboratori per meritare titoli che riconoscano il valore delle bellezze italiane.
Non a caso, proprio nel luglio di quest’anno, il Bel Paese ha raggiunto un record mondiale con i suoi cinquantatré siti iscritti nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, grazie al riconoscimento delle Opere di Difesa veneziane e le Faggete italiane.
Si spera, dunque, che attestamenti così importanti possano restituire nuovo impeto a una nazione che versa nello scoraggiamento. L’orgoglio collettivo e l’impatto che tali nomine avranno sul turismo possono forse costituire un piccolo punto di partenza per ricordare quanto di bello possediamo e abbiamo il dovere di difendere e valorizzare.