Alcuni giorni fa, alla Feltrinelli di Napoli, Roberto Saviano, nel presentare il suo ultimo libro, non ha fatto mancare la sua solita litania sul capoluogo campano e sulla criminalità organizzata, riservando il consueto gentil pensiero al Sindaco de Magistris quale responsabile di tutto quanto accade, confondendo ancora una volta ruoli e competenze che lo scrittore farebbe bene ad apprendere da testi e leggi in vigore, convincendosi che non siamo a New York, città da lui ben conosciuta.
A Saviano, però, non importa nulla né del Sindaco né di Napoli, interessa unicamente la rappresentazione unilaterale che gli consente di mettere in scena la realtà più cruda, con tutti i particolari del peggio del peggio da offrire in pasto agli amanti del crimine – prodotto appetibile anche all’estero, quindi un gran bel business –, fregandosene dello sputtanamento della città, dei suoi abitanti e creando pessimi e pericolosi modelli per molti giovani.
La terminologia becera delle serie televisive, che mortifica la lingua napoletana, è diventata, infatti, patrimonio di ragazzini che sempre più si organizzano in bande emulando gli eroi di Gomorra anche nel modo di vestirsi e di atteggiarsi.
L’autore del celebre romanzo, da persona intelligente e scaltra, inoltre, sa bene che fare la battutina su de Magistris ha una buona presa su certa stampa sempre molto disponibile a raccogliere le solite litanie non soltanto dello scrittore, ma anche dei tanti orfani del vecchio sistema politico e clientelare.
Intanto, a distanza di poche ore dal vangelo secondo Saviano, un grande uomo di Chiesa, un grande vescovo che ha combattuto la camorra stando tra la sua gente e partecipando alle lotte per la difesa dell’ambiente e della salute dei cittadini di Acerra, ha lasciato questo mondo.
Parliamo di Monsignor Antonio Riboldi, per tutti don Antonio, il quale, dalla difesa dei terremotati della Valle del Belice – portandoli, da semplice prete, fin fuori al Parlamento – alla marcia su Ottaviano, paese di Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, con migliaia di giovani, agli incontri in carcere con camorristi e terroristi, ha svolto tutte attività che gli sono costate l’imposizione della scorta. Ha partecipato, poi, alle battaglie della sua gente contro la realizzazione dell’inceneritore che la Chiesa di Acerra ha rifiutato di benedire nel corso dell’inaugurazione con l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi.
Uomo di fede, quindi, ma sempre attento e partecipe alle istanze sociali provenienti dagli ultimi non limitandosi mai ai bei discorsi ma partecipando attivamente, ascoltando e intervenendo presso le istituzioni locali e nazionali.
Il giorno successivo alla sua dipartita, inoltre, un grande napoletano conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, il Maestro Riccardo Muti, nel corso di una manifestazione tenutasi in città ha detto: Sono stanco dell’immagine falsata di Napoli, si parla solo della delinquenza, anche se ci sono città dove la criminalità fa molte più vittime. Un’immagine che oscura la sostanza vera della città. Della grandezza della Napoli della cultura il mondo non sa niente. Che dire? Una risposta a distanza?
Pochi giorni fa, anche il magistrato Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, sempre in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta, si è detto preoccupato per i messaggi negativi che trasmettono le serie televisive e cinematografiche quando non indicano modelli alternativi. Eppure, il Saviano pensiero continua a marciare tra lauti interessi e strategie pianificate a orologeria per tenere alto il consenso dei suoi lettori e dei Gomorra-fans – in numero sempre maggiore, secondo i dati dell’emittente che trasmette la fiction –, il tutto a discapito di un’intera comunità. Ma questo è un dettaglio, dovremo farcene una ragione.