L’innamoramento è sempre caratterizzato dal guardare l’altro da sé attraverso i filtri deformanti dell’attrazione fisica e del desiderio, che ci fanno vedere le persone non per quello che sono ma per ciò che significano per noi, in una maniera indeterminata e appassionata. Il grande filosofo spagnolo José Ortega y Gasset lo definiva come una angina psichica, un’infiammazione della mente.
Le cose si complicano, però, quando a innamorarsi è una ragazza di quindici anni e l’oggetto del suo desiderio è un uomo maturo soltanto nell’età fisica, suo istruttore di nuoto ma, soprattutto, pedofilo seriale. È quello che ci racconta Monica Florio, scrittrice e giornalista napoletana nel suo romanzo Acque torbide (Edizioni Cento Autori, 2017), appena distribuito nelle librerie.
L’autrice ha già dato prova di prediligere il racconto delle storie di vita – in genere ambientate in una Napoli descritta non attraverso i “luoghi comuni” che affliggono la città perfino quando se ne parla bene – di persone emarginate dalla vita sociale per la loro “diversità” psicologica, sessuale ed esistenziale.
Lo ha fatto già con la raccolta di racconti Il canto stonato della Sirena (Il mondo di Suk, 2012) e poi anche con i romanzi La rivincita di Tommy. Una storia di bullismo omofobico e Ragazzi a rischio. Una nuova avventura per Tommy (La Medusa, 2014 e 2016).
Questi due ultimi scritti sono inseriti nella collana della narrativa scolastica che affronta i temi del disagio giovanile e della compromissione delle relazioni familiari e sociali di tanti ragazzi in uno dei periodi più importanti della vita.
In Acque torbide, invece, l’innamoramento della giovane Valentina per il suo istruttore di nuoto ci viene raccontato da Michele, il fratello più piccolo, chiamato Polpetta dai bulli, suoi compagni di scuola, per la sua statura bassa e la corporatura grassoccia.
Il ragazzo, intelligente e dotato di un notevole intuito, comprende il pericoloso plagio che sta subendo la sorella da parte di una persona a cui ha donato fiducia e affetto. Non riferisce i suoi dubbi ai genitori ma, superando la sua avversione per l’acqua, si iscrive a nuoto nella piscina frequentata da Valentina, cercando di proteggerla. Nel corso della storia, affronterà il proprio disagio e pericoli inattesi, in un ambiente dove l’istruttore fa valere, in negativo, il suo potere di adulto educatore.
La pedofilia, come più volte ha affermato Monica Florio, e ripetuto in sede di prima presentazione del suo Acque torbide alla libreria Ubik di Napoli, è un fenomeno sottovalutato, più grave e diffuso di quello che viene in genere descritto, perché fa leva sulle insicurezze e il narcisismo delle giovani vittime adolescenti, attraverso il plagio esercitato da persone adulte.
Ancora una volta, la scrittrice ci parla della natura ambivalente degli esseri umani e del malessere esistenziale che colpisce soprattutto le identità in formazione, complice l’assenza o la scarsa attenzione delle istituzioni e dei ruoli decisivi che fanno parte delle reti affettive di riferimento.
Le figure familiari e gli educatori spesso si accorgono in ritardo e in maniera confusa dei problemi adolescenziali, e quando intervengono lo fanno senza riuscire a comprendere, tantomeno a prevenire, il “mal di vivere” delle giovani vite, futuri adulti ed educatori a loro volta.
In nome di una ipocrita difesa del “quieto vivere”, in un’arena sociale in cui tutto avviene in fretta e dove domina la competizione più che la solidarietà, i valori individuali e sociali sono travisati e diventano disvalori. E i più giovani spesso vengono lasciati in una reale solitudine spacciata per esercizio di libertà.
Nei tristi tempi in cui viviamo, l’etica formalmente condivisa viene nella realtà male interpretata dagli attori sociali, più interessati al funzionamento dell’assetto societario che alla sofferenza che produce, e le figure più deboli del nostro mondo vitale sono le vittime principali di questo tradimento delle esistenze individuali e del benessere comune.