Grazie ai procedimenti fotografici negativo/positivo e a quelli fotomeccanici, verso la fine del 1860, l’editoria delle cartoline ebbe un grande sviluppo che crebbe fino agli anni Settanta del XX secolo.
La cartolina non è altro che un cartoncino illustrato dal formato 9×14 cm il quale, per tutta la prima metà dell’Ottocento, fu prerogativa della tradizionale stampa tipografica. La sua funzione fu la stessa della pietra litografica, dalla quale era possibile trarre un numero illimitato di copie, mentre il negativo fotografico funse da matrice per i positivi.
Le cartoline erano stampate a contatto, ovvero per sovrapposizione del negativo sulla carta fotografica. Per fare questa operazione si utilizzava un torchietto – che consiste in una cornice di legno e in un vetro – sul quale si appoggiavano, nell’ordine, il negativo e la carta fotografica. L’esposizione, invece, era a luce solare oppure a gas, dopodiché si sviluppava e si fissava l’immagine.
Le prime cartoline furono realizzate su carte alla gelatina al cloro-bromuro d’argento. Queste erano facili da usare in quanto permettevano di lavorare in condizioni di semioscurità. Successivamente, il torchietto si trasformò in bromografo, un parallelepipedo di legno in cui era inglobata la sorgente luminosa e un cronometro per controllare il tempo di esposizione. Verso il 1950 la meccanizzazione del bromografo permise l’automatizzazione del processo di esposizione e di stampa.
In quegli anni, inoltre, fu introdotta la carta sensibile a rotolo. Le cartoline stampate su striscia furono tagliate singolarmente e questo permise una produzione in larga scala. Tantissimi furono i soggetti rappresentati, anche se per la maggior parte si trattò di vedute di città, ritratti di personalità e riproduzioni delle opere d’arte più note.
A seconda dell’importanza della località turistica riprodotta o del soggetto, la loro tiratura variava dalle mille alle duemila copie. Sul negativo, in fase di stampa, venivano realizzate le didascalie, risultando così in positivo sul fototipo oppure potevano essere realizzate tipograficamente sia sul recto che sul verso della cartolina, indicando l’autore e l’editore. La lucidatura della superficie era la fase conclusiva della confezione dell’immagine e questo procedimento conferiva al prodotto grande brillantezza e profondità dei toni e del chiaroscuro.
La cartolina postale ebbe il suo periodo di maggior fortuna a partire dal 1902, quando Kodak mise in commercio la carta fotografica Velox, che recava sul verso le informazioni caratteristiche del cartoncino. All’inizio del Novecento, invece, le cartoline furono prodotte con procedimenti fotografici arricchiti con viraggi dal tono seppia, verde e blu per cercare di ovviare al problema dell’ottenere positivi a colori. Negli anni Trenta furono poi prodotte quelle colorate a mano, attraverso l’utilizzo del pennello e dei tamponi, con l’ausilio di maschere corrispondenti alle zone di intervento.
Nel 1970 fu introdotta una nuova tecnica di stampa fotomeccanica, l’offset, in grado di restituire una qualità cromatica superiore e un prodotto meno costoso rispetto al sistema tradizionale.