Torino, 28 giugno 2017
[…] Sono la mamma di un’alunna di classe terza. Scrivo questa lettera, indirizzata a Lei, dirigente dell’Istituto, per manifestare, a nome mio e di mio marito, grande riconoscenza verso la scuola e in particolare verso i professori.
Nostra figlia ha terminato questa settimana gli esami di terza media con profitto, ed è la nostra secondogenita.
Abbiamo trascorso sei anni nel vostro istituto. Anni belli, importanti, a tratti difficili, impegnativi, essenziali per la maturità e la crescita dei ragazzi.
Due figlie, due caratteri molto diversi, ma una grande certezza: i docenti, sempre presenti, seri, preparati, stimolo per lo studio e sostegno al bisogno.
Hanno saputo, con fermezza, guidare le classi, tenendo a cuore i casi particolari, essendo d’esempio con una presenza e una disponibilità esemplari.
Si parla spesso di mala-scuola… ebbene, ci è sembrato giusto sottolineare come la nostra esperienza in questo istituto sia degna dell’aggettivo “eccellente”.
Grazie per il metodo, la costanza, la disponibilità sempre dimostrata. Grazie perché le vostre non sono state solo due semplici allieve, bensì due ragazze diverse con le loro particolarità, da guidare con fermezza e competenza nello studio delle diverse discipline.
La nostra prima figlia frequenta il liceo scientifico e in prima superiore aveva delle fondamenta e una formazione scolastica talmente forti e valide da affrontare l’anno scolastico con molta sicurezza e livello formativo adeguato e, anzi, avanzato rispetto alla classe.
Materie insegnate con rigore, ottimi insegnanti, professori con cui potersi confrontare e a cui poter dimostrare con soddisfazione di aver appreso le diverse nozioni.
Grazie ancora ai docenti per la disponibilità con i ragazzi, con le famiglie, per aver guidato le nostre ragazze, per aver insegnato loro il rispetto tra i compagni, il piacere di imparare, il desiderio di scoprire e di approfondire con curiosità il mondo che ci circonda.
Di certo, sono altre le ragioni che spingono un essere appartenente al genere umano a intraprendere una professione come quella dell’insegnante, ma sicuramente sono queste le molle motivazionali che servono per continuare a farlo, tanto più in un contesto sociale e culturale in cui abbiamo ormai avuto ampiamente prova di come il sonno della ragione possa recidivamente continuare ancora a generare mostri. Pensiamo, ad esempio, al liceo breve, fondamentale per educare le nuove generazioni alla felice servitù della quale necessitano le logiche di competitività con cui “ragionano” i mercati – e di cui gli Stati sempre più assorbono le leggi, nonché il riprovevole puzzo di ogni sorta di compromesso (im)morale –, per poi assistere alla promozione dell’uso dei telefoni cellulari nelle classi, in quanto strumenti “utili” a recidere definitivamente quel sottile filo di elettiva affinità che ciascun insegnante cerca ogni volta di provare a tessere tra sé e lo sguardo di ognuno degli alunni con cui tenta di far lezione, seppur in una scuola dell’obbligo in cui l’obbligo è sempre più solo quello di promuovere senza soluzione di continuità e in contiguità con provvedimenti legislativi come quello sull’obbligatorietà dei vaccini, approvato con decreto in accordo con il Ministero della Sanità quando il Dottor Ranieri Guerra, all’epoca dirigente dello stesso Ministero e in quanto tale firmatario degli atti pubblici inerenti, era contemporaneamente membro del consiglio d’amministrazione della Glaxo, ditta produttrice del vaccino esavalente venduto in Italia.
Infine, i giovani, mai dimenticare i giovani, soprattutto quelli che in occasione della prossima tornata elettorale compiranno il diciottesimo anno d’età e, dunque, Erasmus anche alle superiori, di modo tale che all’ignoranza diffusa in ogni ambito del sapere possa almeno sostituirsi una profonda, “utile” conoscenza della lingua inglese.
Il nostro, invece, è un Paese che, per imparare a stare al mondo, ha profondamente bisogno di essere educato innanzitutto a prender coscienza di se stesso. Gli insegnanti lo sanno, ci provano e a volte, a quanto pare, nonostante la mancanza di tempi e spazi, nonostante stipendi insignificanti e ministri improvvisati, ci riescono pure, lavorando con dedizione per contribuire quotidianamente a costruire una scuola fatta bene, più che Buona, e soprattutto uguale per tutti senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Quello dell’insegnante è un mestiere che si può fare solo a patto che ci sia anima a sufficienza da dedicargli ed è vero, esiste una minoranza sfaccendata e incompetente che, al pari di una camorra, contribuisce a costruire il falso mito del docente fannullone, mangia-stipendio e con tre mesi di vacanza ogni anno. Falsi miti, appunto, duri a morire poiché, come al solito, l’acqua sporca è sempre e solo quella che viene necessariamente avanti per effetto del maggior peso specifico.
Al suo seguito esiste, però, un mare d’acqua limpida che disseta da sempre chi ha la possibilità e la fortuna di affrontare la forgia di percorsi scolastici che sono, di fatto, percorsi di vita da cui nessuno di noi ha potuto né potrà mai prescindere, se quel che conta davvero è e sempre sarà provare a costruire il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo, allo scopo di saperne fare consapevolmente e dunque liberamente parte.
Ciò detto, buona scuola a tutti!