La giunta della città di Napoli, guidata dal Sindaco Luigi de Magistris, sembra soffrire di una crisi in parte inaspettata, in parte attesa all’indomani del voto che ha confermato il Primo Cittadino uscente alla guida di Palazzo San Giacomo.
Che l’operato del leader del gruppo che porta le iniziali del proprio nome, demA, sarebbe finito sotto una lente d’ingrandimento severa anche oltre ogni onesta misura – come detto – era ampiamente preventivabile, con i gruppi a lui avversi, o anche quelli che ne hanno firmato il successo, finalmente liberi di mirare ai punti deboli del Sindaco certi di colpire e ferire. Ma proviamo ad andare per gradi.
Perché questa stretta marcatura non sia stata adoperata già durante il primo mandato conferito a de Magistris è di facile comprensione. L’ex magistrato godeva, allora, di un plebiscito popolare che si era espresso in maniera chiara e senza repliche a suo favore, pertanto, sfoderare le spade già nel corso dei primi cinque anni di governo sarebbe stata una strategia suicida sia per chi puntava proprio alla poltrona occupata da Giggino – come fastidiosamente apostrofato dai suoi detrattori – sia, e soprattutto, dai gruppi dei centri sociali che, proprio grazie alla straordinaria apertura del Sindaco alle iniziative di carattere popolare, sono riusciti ad affermarsi sul territorio e, in alcuni casi, a godere dell’usufrutto di una sede gratuita presso i palazzi di proprietà della città. Inoltre, le disastrose condizioni in cui versavano le casse comunali ereditate dagli arancioni e le tante questioni ancora irrisolte, soprattutto nei delicati quartieri di periferia, conferivano alla maggioranza uno scudo dietro il quale nascondere ogni lentezza o incertezza delle prime manovre proposte per il rilancio del capoluogo campano.
Tutt’altra storia, invece, è l’attuale convergenza di dissapori che trova man forte, innanzitutto, nei numeri registrati alle urne appena lo scorso anno. Perché se è vero che de Magistris si è riaffermato con una percentuale di preferenze molto alta, è altrettanto da considerare la grande mole di voti persi tra il primo turno, quando non è riuscito a fare un solo boccone degli avversari Valente e Lettieri, e il secondo, con l’astensionismo vero protagonista della domenica elettorale.
A questa prima dimostrazione di debolezza, poi, sono andate ad aggiungersi le intricate matasse che il Primo Cittadino partenopeo si è trovato a dover necessariamente sbrogliare all’alba della sua conferma. Basti pensare alla delicata questione Bagnoli, dalla quale ha subito il forte pressing del Partito Democratico ora rinvigorito dall’asse Renzi – De Luca.
È proprio lo spinoso caso dell’ex area Italsider ad aver creato le prime crepe nella fortezza della maggioranza. Lo scorso luglio, infatti, poche ore dopo l’approvazione del piano risanatore della zona, il Consiglio Comunale chiamato a discuterne andò deserto, con le assenze di alcuni esponenti della giunta che non garantirono lo svolgimento della riunione. A loro volta, i centri sociali, in genesi amici dell’amministrazione, poi, a sviluppo ultimato, sentinelle vigili sull’operato del Sindaco, alimentarono la polemica annunciando il fiato sul collo che da lì in avanti avrebbero adoperato nel giudizio delle azioni promosse da Palazzo San Giacomo, a loro dire, distante dai reali interessi dei residenti nell’area interessata dal provvedimento.
Il campanello d’allarme più interessante, però – al di là di queste baruffe squallide che tanto profumano di cieca prova di forza, lontana sì dai reali interessi della comunità –, è suonato lunedì 9 ottobre, quando il Consiglio Comunale, riunito per la consueta votazione di bilancio, ha necessitato proprio del voto di de Magistris per l’approvazione con una stretta maggioranza di ventuno voti, uno soltanto oltre il necessario. Sembrano, dunque, veramente tanto lontani i tempi del primo mandato, i giorni in cui lo schiacciante consenso di cui godeva l’amministrazione arancione non si ritrovò mai a fronteggiare alcun vento di crisi.
Come se non bastasse, un altro caso di precaria gestione si è riversato sulle scrivanie del Comune, con i dipendenti dell’ANM, l’azienda di trasporti partenopea, in presidio nel cortile del Municipio al fine di scongiurare la privatizzazione della ditta e i tagli o i trasferimenti apparentemente inevitabili al personale.
Sono settimane difficili per la giunta demA, mesi che potrebbero addirittura decretare la caduta del movimento leader in città ancor prima delle prossime elezioni, con i nuovi gruppi politici, figli di quei centri sociali da lui sponsorizzati, che sembrano pronti ad approfittare di uno scivolone del Sindaco che ne ha decretato, in taluni casi, persino la nascita.
Chi scrive, al contrario di quanto non possa apparire da queste poche righe, è ben lontano dal definirsi un “demagistriano” ma, allo stesso modo, per l’onere che comporta il ruolo che ricopre, non incoraggerebbe una disamina disonesta dei pregi e difetti dell’operato del magistrato. Ben vengano, dunque, le critiche se costruttive, ancor più le rivendicazioni e le richieste di azioni concrete a favore di quella gente che, da ogni lato della politica, continua a essere dimenticata, purché si abbandoni l’opportunismo e l’ipocrisia dilagante nei commenti di questi ultimi tempi.
Troppo comodo servirsi di un uomo per poi scaricarlo alla prima difficoltà, persino, meschino colpirne le spalle alle inevitabili scivolate derivate dal rischioso desiderio di imprimere ancora la sua ostinata direzione a una città indomabile e ribelle a prescindere. Passare dall’opportunismo all’attacco, senza prima aprire un sano dibattito, proporre un aiuto concreto al fautore di un movimento di associazioni unico nella sua storia e nella sua territorialità, è opera dannosa per chiunque, una misera dimostrazione che è solo il proprio tornaconto a interessare, il proprio spot girato sui social, anche a discapito di un’amministrazione che, nei suoi pro e contro, nelle sue vittorie come nei tanti errori, ha indubbiamente restituito fiducia a migliaia di giovani che in Napoli non si riconoscevano più, rigenerando un sentimento scomparso tra i vicoli del centro e delle periferie soltanto fino a cinque anni fa: l’appartenenza.
Fare a gara, soltanto adesso, a chi ce l’ha più lungo non è diverso dall’assecondare le logiche partitiche che hanno inguaiato la città all’ombra del Vesuvio nelle amministrazioni piddine che hanno preceduto la rivoluzione arancione. Farsi un esame di coscienza, mettersi a disposizione del Sindaco quindi al servizio della comunità è un diritto quanto un dovere civico. Solo allora, tra quattro anni, e in cabina elettorale, si tireranno, come giusto, le somme e si decreterà il merito della lista demA ad andare avanti nel suo cammino. Altrimenti si semina instabilità. E tutti sappiamo a chi fa gola…