Claude Felix Abel Niépce de Saint-Victor introdusse il procedimento delle lastre di vetro albuminate e l’utilizzo del vetro come supporto del negativo. A tal proposito, utilizzò una miscela composta da chiaro d’uovo sbattuto combinato con ioduro di potassio e cloruro di sodio. Il suo scopo era quello di approfondire gli esperimenti sulle tecniche fotomeccaniche condotti precedentemente da suo cugino Nicéphore Niépce.
Il risultato non fu altro che il primo negativo su vetro all’albumina di cui diede comunicazione ufficiale nel 1847. La tecnica venne chiamata niépceotypes. Questo procedimento permise di ottenere negativi con bassa sensibilità, ma ricchi di dettagli. Fu, però, ben presto soppiantato dall’uso del collodio in quanto l’albumina tendeva a screpolarsi e a staccarsi in grandi falde dal supporto di vetro. Essa fu comunque usata soprattutto per realizzare diapositive destinate alla proiezione con le lanterne magiche alimentate a gas, denominate illotipi.
Nel 1847 fu scoperto il collodio, una soluzione viscosa di nitrocellulosa disciolta in alcool etilico ed etere, utilizzata soprattutto in campo medico per cicatrizzare e proteggere le ferite. Successivamente fu usata anche per altri scopi, in particolar modo in fotografia.
Nel 1851 Frederick Scott Archer mise a punto il procedimento al collodio umido, realizzando un negativo su un supporto di vetro e stendendovi sopra uno strato di collodio addizionato a ioduro o bromuro di potassio, combinato infine con una soluzione di nitrato d’argento. Questi due composti insieme creavano una reazione che dava luogo a ioduro o bromuro d’argento, sostanza sensibile alla luce. Una volta esposto il negativo, nella macchina fotografica, veniva sviluppato e fissato e, successivamente, la parte emulsionata protetta con una vernice. Il nome della nuova tecnica era dovuto alla necessità di utilizzare un negativo appena preparato, quando il collodio era appunto umido, affinché non perdesse, essiccando, la sua sensibilità.
Con questo procedimento era possibile ottenere delle immagini positive più nitide e ricche di dettagli rispetto alla calotipia. Nel 1860, per migliorare la praticità del loro utilizzo, vennero messi in commercio dei negativi al collodio secco, e il loro vantaggio fu quello di poter essere usati anche a distanza di tempo. Il negativo al collodio e la carta albuminata, però, ebbero vita fino al 1880, in quanto, in seguito, il metodo che utilizzava la gelatina nella composizione dell’emulsione fotografica fu più usato grazie al facile impiego e ai migliori risultati.
Qualche anno dopo gli esperimenti di Niépce de Saint-Victor, nel 1855, il chimico francese Taupenot migliorò la tecnica realizzando le prime diapositive al collodio albuminato. Entrambe erano utilizzate per proiezioni con una “lanterna” illuminata a olio, in seguito a gas e poi elettronicamente. Fu proprio durante il primo Congresso Internazionale di fotografia tenuto a Parigi nel 1889 che le immagini positive su supporto di vetro presero il nome di diapositive (Hyalotypes).