Contributo a cura di Emilia Rosati
Adottare significa dare una famiglia a un bambino e non un bambino a una famiglia. Questo concetto sembra ormai entrato nella cultura attuale dell’adozione. Sembra, appunto.
In teoria siamo tutti capaci di affermare i principi che ci fanno sentire bravi e buoni, e che ci collocano sul piano ideale dell’amore e della solidarietà. In pratica le cose sono molto più difficili.
Lo sono state per le sette famiglie che hanno rifiutato di prendere in adozione la bambina down abbandonata dalla madre in un ospedale di Napoli. Lo sarebbero state forse anche per noi.
E qui, la legge vede e provvede, seguendo per la verità logiche abbastanza indegne di tale nome. Un bambino disabile, un “residuo”, lo “scarto” rifiutato dagli altri, può, grazie all’adozione cosiddetta speciale (legge 184/83), essere affidato a un single. Come se fosse più facile crescerlo, un bambino malato. Come se avesse bisogno di minori cure, tempo, attenzioni. Un ragionamento che va in direzione contraria al buon senso, una sorta di abbinamento tra due minus habens.
Sorge, allora, spontanea la domanda: se un single può fare da genitore a un bambino con handicap, perché non anche a uno sano, che magari non sarà da imboccare e andrà a scuola da solo?
Ma tant’è… L’importante, in questa tragica e pur bellissima storia, sta nel fatto che un uomo coraggioso abbia accettato di diventare papà di una bambina destinata, altrimenti, a convivere non soltanto con la propria sventura, ma anche con un’immensa solitudine.
La stessa, vogliamo credere, che segnerà per sempre una mamma che non ce l’ha fatta, forse una ragazza in difficoltà, non attrezzata per un compito così difficile. E vogliamo sperare, anche, che le sia giunta la buona novella: la propria bambina da anatroccolo si è trasformata in cigno, diventando fonte di felicità per chi non legava il suo essere genitore all’integrità fisica e mentale del figlio.
Per chi, con questa scelta, ha dimostrato di essere colui che genera, in senso letterale, creando, dal vuoto assoluto, una prospettiva di vita, di affetti, di cure.
Domani, forse, grazie a un articolo del DDL S.1978, che il Comitato Nazionale per il Diritto alle Origini Biologiche ha fortemente voluto, anche questa ragazza, attraverso il proprio tutore, potrà conoscere sua madre e offrirle la possibilità di dire grazie.